Con il termine giapponese “Kaidan” si intendono le storie di fantasmi, o di orrore, ambientate nel periodo di Edo (1603 – 1868). Nel XVII – XVIII secolo le storie di fantasmi, in Giappone, incontrarono un grande successo popolare grazie a varie opere letterarie come Otogi Boko (“Burattini”) o come il famoso Ugestsu Monogatari – una raccolta di nove racconti – considerato uno dei capolavori del Periodo Edo.
Ad accrescere la popolarità ci fu anche il popolare gioco Hyakumonogatari Kaidan ka, praticato specialmente dai samurai per provare il loro valore: in una stanza, al calar delle tenebre, venivano accese cento candele, i partecipanti sedevano attorno e, a turno, dovevano raccontare un kaidan al termine del quale veniva spenta una candela.
Il progressivo spegnimento delle candela rendeva sempre più scura la stanza e, quando anche l’ultima candela veniva spenta, c’era la manifestazione di qualche entità sovrannaturale.
I primi racconti di fantasmi in Giappone arrivarono dalle traduzioni di racconti cinesi. Questi racconti, in Cina, non avevano tanto lo scopo di impaurire, ma avevano finalità didattiche in quanto contenevano precetti ed insegnamenti della religione buddista. In Giappone vennero quindi tradotti e adattati al gusto e all’ambiente di quel periodo (inizio del XVII secolo).
Nel XIX secolo molti di questi racconti furono ampliati e utilizzati dal teatro Kabuki e, sul finire del secolo, arrivarono le prime traduzioni in inglese da parte di Lafcadio Hearn un irlandese, con madre greca, che poi sposò una ragazza giapponese e prese la nazionalità della moglie: cambiò il suo nome in Koizumi Yakumo. Lafcadio raccolse un gran numero di storie kaidan, le adattò e le riunì nelle sue celebri raccolte di racconti fantastici giapponesi.
Uno di questi racconti era Botan Doro (“I racconti della lanterna di Peonia”).
Botan Doro è uno dei racconti kaidan più celebri e ha avuto numerose trasposizioni cinematografiche la prima delle quali risale addirittura al 1910. Numerose sono poi le opere Rakugo e Kabuki che si rifanno a questo racconto. Naturalmente sono anche molti gli stravolgimenti che ha dovuto subire negli anni.
Di seguito riporto un riassunto del racconto tratto dalla versione di Lafcadio Hearn. Chi volesse leggerla integralmente, in inglese, la può trovare QUA
Botan Doro e la Lanterna di Peonia
A Edo, l’antica Tokyo, viveva un importante samurai, Iijima Heizayemon, che aveva una bellissima figlia, Otsuju. Essendo vedovo, Heizayemon, prese una seconda moglie con cui però la figlia non riusciva ad andare d’accordo. Perciò il samurai mandò la figlia, in compagnia di una serva, Oyone, a vivere in un’altra casa.
Un giorno, a far visita a Otsuju, venne il medico di famiglia, Yamamoto Shijo, in compagnia di un giovane samurai Hagiwara Shinzaburo. Fra i due giovani – Hagiwara e Otsuju – ci fu il classico colpo di fulmine e, prima della fine della visita, si giurarono amore eterno.
Per l’etichetta del tempo, il giovane samurai non poteva recarsi da solo nella casa delle donne e quindi attese, invano, di essere chiamato dal medico che gli aveva promesso di portarlo di nuovo in visita alle due donne. Shijo, per paura dell’ira del padre di Otsuju, non chiamò mai il giovane samurai il quale, anzi, venne informato, dallo stesso dottore, ormai pentitosi del suo comportamento, che le due donne erano morte di dolore: Otsuju che credeva di aver perso il suo amato Shinzaburo, e Oyone per la morte della sua padrona.
Qualche tempo dopo il giovane Shinzaburo, durante la notte della festa di Obon, vide passare davanti a casa sua due donne di cui una portava una lampada di Peonia. Le donne si voltarono verso di lui che così seppe di aver ritrovato Otsuju e la sua serva. Dal colloquio venne a sapere che le donne non erano affatto morte e che la notizia del loro decesso era stata messa in circolazione dal medico per allontanare il giovane samurai da loro. D’altronde anche le due ragazze pensavano che Shinzaburo fosse morto, sempre a causa delle voci messe in circolazione dal dottore Shijo. La passione tra i due giovani si riaccese subito. Ogni notte, alla stessa ora, Otsuju e la sua serva arrivavano alla casa del giovane samurai per poi ripartire poco prima dello spuntare del giorno.
Tomozo, il servo di Shinzaburo, preoccupato per le continue visite notturne che riceveva il suo padrone, una notte si avvicinò alla casa del giovane samurai e sbirciò attraverso una fessura. Quello che vide lo riempì di terrore: invece di due belle ragazze, vide degli esseri scheletrici il cui corpo terminava all’altezza della vita e i capelli erano coperti di ragnatele.
Il giorno dopo, consigliato da un vecchio saggio che abitava nelle vicinanze, Tomozo si recò a parlare con un monaco di un vicino tempio buddista. Questi gli diede le istruzioni per proteggere il suo padrone dalla maledizione: doveva proteggere le entrate della casa con gli Ofuda (strisce di carta con scritti sacri) e doveva portare su di sè un talismano oltre ad un Sutra da ripetere ogni notte.
Tomozo riuscì a convincere il suo padrone del pericolo a cui stava andando incontro, contro il quale poteva proteggersi usando le istruzioni del monaco buddista. Difatti, la notte successiva, le due donne, trovando la casa protetta dai talismani buddisti, non poterono entrare e cercarono di convincere Shinzaburo a rimuovere gli Ofuda permettendo loro di accedere alla casa. Tutti gli sforzi furono inutili e quindi i due fantasmi si rivolsero a Tomozo che, superato il primo prevedibile momento di terrore, contrattò il prezzo del tradimento: dietro un compenso in denaro, avrebbe rimosso gli Ofuda – quel tanto che bastava per lasciare passare le due donne – e avrebbe sostituito l’amuleto addosso al padrone con un amuleto finto. Così Otusju e Oyone entrarono, per l’ultima volta, nella casa di Hagiwara Shinzaburo.
La mattina seguente Tomozo, come sempre, si recò alla casa del padrone il quale, stranamente, questa volta non rispose. Con l’aiuto della moglie riuscì e ugualmente ad entrare nella casa che trovò immersa nel buio e silenziosa. Cercò dappertutto Shinzaburo, ma invano. Alla fine scostò il velo che copriva il suo letto e quello che vide lo sconvolse; il suo padrone giaceva, morto, e sul volto i segni dell’orrore. Dietro di lui giacevano le ossa di Otsuyu le cui mani, prive di carne, erano strette attorno al collo di Hagiwara Shinzaburo.
Autore : Cristiano Suriani