Il caso del pittore Sadamichi Hirasawa

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Sadamichi HirasawaUno dei più sconvolgenti fatti di cronaca nera, accaduti durante l’occupazione americana, fu sicuramente il “Caso Teigin”, dal nome della banca dove avvenne una rapina che provocò la morte, per avvelenamento, di 12 persone, tra cui un bambino.

Verso l’ora di chiusura, il 26 gennaio 1948, si presentò, alla filiale della banca, a Shiinamachi, alla periferia di Tokyo, un strano personaggio che diceva di essere un pubblico ufficiale sanitario, mandato lì dalle forze di occupazione americane per somministrare un medicinale contro una possibile epidemia di dissenteria.

I presenti assunsero la pillola, non sapendo che si trattava di un potente veleno: il cianuro di potassio, come venne stabilito nel processo. Dieci morirono subito e due dopo essere stati ricoverati all’ospedale.
L’assassino fuggì con un bottino di 160.000 yen.

Lo strano personaggio, sul luogo del delitto, lasciò il suo biglietto da visita, con il nome “Shigeru Matui (Ministero della Salute e Welfare. Dipartimento Prevenzioni Malattie)”. Il signor Matsui, che lavorava davvero presso il Ministero della Sanità, dimostrò subito di avere un alibi e quindi uscì dalla lista dei sospettati.
Il biglietto da visita, comunque, venne riconosciuto originale. Matsui, che segnava meticolosamente ogni scambio di biglietto, calcolò che in giro ci sarebbero dovuti essere ben 593 suoi biglietti da visita in possesso di persone con cui era entrato in contatto. Comunque solo 100 erano del tipo ritrovato presso la banca. Tolti 8 biglietti in suo possesso, ne rimanevano 92; di questi, ne vennero rintracciati 62, i quali possessori risultarono estranei al furto; altri 22 vennero ritenuti irrilevanti per il caso; dei restanti 8 biglietti, secondo le annotazioni di Matsui, uno doveva essere nelle mani del pittore Sadamichi Hirasawa.
Hirasawa divenne il sospettato principale quando non riuscì a presentare il biglietto da visita, del signor Matsui, in suo possesso: disse che era nel portafoglio che gli era stato rubato.

ProcessoAnche altri elementi portarono i sospetti sul pittore: era in possesso di una cospicua somma di denaro di cui si rifiutò di dire la provenienza; l’alibi non poté essere confermato da nessuno; venne inoltre riconosciuto da alcuni testimoni.
Il 21 agosto di quell’anno, Sadamichi Hirasawa, venne arrestato con l’accusa di rapina e di aver ucciso 12 persone.

In quegli anni, la tortura, utilizzata per indurre i prigionieri a confessare, era ancora un modo lecito utilizzato dalla polizia. Probabilmente fu sotto tortura che Hirasawa venne indotto a confessare i suoi crimini. Il pittore, in seguito, cambiò di nuovo versione, proclamandosi innocente, ma, durante il processo, la corte non gli credette: nel 1950 venne condannato alla pena capitale, che venne poi confermata, nel 1955, dalla Corte Suprema.
Sadamichi Hirasawa non venne mai impiccato, ma morì, il 10 maggio 1987, per polmonite, presso l’ospedale del carcere: aveva 95 anni.

La storia non finì di certo con l’arresto e la condanna del pittore, anzi.
Fin da subito sorsero dubbi sulla reale colpevolezza di Hirasawa.

Secondo il codice penale giapponese, solo un famigliare poteva ricorrere in appello; per un pregiudizio sociale, nessuno dei suoi famigliari accettò di chiedere la riapertura del caso. A lottare per stabilire la verità e per la riabilitazione di Hirasawa, fu il figlio adottivo Takehiko.
Takehiko organizzò anche mostre pittoriche per salvaguardare il prestigio artistico del suo patrigno: Hirasawa, anche durante gli anni della prigione, continuò a dipingere.
Pure dopo la morte del pittore, Takehiko continuò a battersi per la riapertura del caso e per l’innocenza di Hiraswa. Purtroppo morì nel 2013, all’età di soli 54 anni, nella sua casa, dove viveva da solo dopo la morte della madre.

Sadamichi Hirasawa

Come detto, presto sorsero dubbi sulla colpevolezza di Sadamichi Hirasawa.
Lo scrittore Seichō Matsumoto si appassionò al caso e si convinse da subito che il pittore fu solo un capro espiatorio per coprire una verità che non doveva venire a galla.

La confessione fu estorta sotto tortura e già questo era sufficiente a gettare dubbi sull’intera vicenda. I soldi in possesso del pittore, secondo Matsumoto, costituivano il compenso per alcuni disegni di genere pornografico: Hirasawa non ammise la provenienza del denaro per non compromettere la sua carriera.

Anche la storia del presunto riconoscimento del pittore, da parte di alcuni testimoni, lascia un po’ perplessi, se non altro per le modalità. Il riconoscimento non è stato fatto nei giorni immediatamente successivi al fatto criminoso, ma alcuni mesi dopo, quando ormai Hirasawa era diventato il principale sospettato. I testimoni avrebbero ricevuto spinte, più o meno volontarie, a confermare la colpevolezza del pittore.

Durante il processo fu stabilito che il veleno utilizzato era il cianuro di potassio che però era altamente, e velocemente, letale ed invece alcune vittime morirono solo qualche ora più tardi, in ospedale, e altri, addirittura sopravvissero. Dai sintomi, venne chiamato in causa l’acetoncianidrina un composto usato dai militari, che Hirasawa non poteva essersi procurato.

La tesi dello scrittore Matsumoto era che il colpevole fosse un ex membro della infame Unità 731, una unità, con sede ad Herbin, in Manciuria, che, durante la guerra, condusse studi e test per nuove armi batteriologiche.

Nell’immediato dopoguerra l’opinione pubblica giapponese rimase per alcuni anni all’oscuro dell’Unità 731. Gli americani avevano bisogno dei risultati raggiunti ad Herbin per migliorare il loro arsenale che, nel settore delle armi batteriologiche, era carente; non c’era quindi la volontà di rendere nota, all’opinione pubblica, l’esistenza di questa unità, e anche i suoi responsabili non vennero mai condannati.

Se il vero colpevole della rapina alla banca Teigin fosse stato collegato all’Unità 731, tutta la storia sarebbe venuta a galla, con grave scontento delle forze d’occupazione americane. Meglio quindi trovare un capro espiatorio su cui rovesciare la responsabilità della rapina e della strage.

Autore : Cristiano Suriani

Fonti :
Uninformed ‘confession’ hoped to clear late Teigin Incident suspect (Japan Times)

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