Il Giappone e il radicalismo afro-americano

Condividi
W.E.B. DuBois
(Cornelius Battey, Public domain, attraverso Wikimedia Commons)

La vittoria giapponese nella guerra del 1904-1905 contro la Russia non si può annoverare come una semplice e banale vittoria militare in una delle tante guerre di quel secolo turbolento.
L’impresa del Giappone rappresenta la prima vittoria, nell’era moderna, di un esercito asiatico contro una potenza occidentale. Questa notizia sconvolse il mondo che, per la prima volta, si trovava a dover fare i conti con una potenza militare di un Paese non bianco. Fino ad ora, i rapporti con i popoli asiatici, così come con quelli africani, era improntato ad un certo rapporto di superiorità della razza caucasica. Adesso, in un certo senso, i giapponesi avevano dimostrato che la supremazia e lo strapotere dei bianchi potevano essere sconfitti, anche militarmente.

Questa rivoluzionaria notizia non poteva che fare presa, pesantemente, sulla comunità afro-americana.
Nonostante l’abolizione della schiavitù, nonostante Abraham Lincoln e nonostante le idee liberali che circolavano negli Stati Uniti, la situazione dei neri non era certo felice, soprattutto negli stati del sud. Lavori sotto pagati nelle grandi piantagioni, pubblici linciaggi, segregazioni e la presenza di organizzazioni quali il Ku Klux Klan, rendevano la vita della minoranza nera molto difficile. Gli attivisti che si battevano per i diritti della comunità nera, non potevano non guardare con occhio interessato le notizie, provenienti dall’Estremo Oriente, che parlavano di un popolo, quello giapponese, che era riuscito a tenere testa alla prepotenza coloniale dei bianchi che quindi non erano più invincibili.
Tra la comunità radicale nera e l’imperialismo giapponese, c’era un nemico comune: l’uomo bianco.
Un punto focale nei rapporti tra il Giappone e l’attivismo nero americano, fu costituito dal Trattato di Pace di Versailles, nel 1919.

Il Giappone, partecipò alla Prima Guerra Mondiale, a fianco delle Potenze dell’Intesa, contro gli Imperi Centrali (Germania, Austria-Ungheria, Impero Ottomano e Bulgaria). L’impegno giapponese durante la guerra, fu piuttosto limitato: già entro la fine del 1914 aveva eliminato la presenza delle colonie tedesche in Asia. Negli anni successivi, l’impegno del Giappone fu quello di supporto alla Gran Bretagna con cui c’era un trattato di alleanza.
Alla fine della guerra, il Giappone, anche se il suo tributo di sangue fu minimo, rispetto agli altri Paesi, si conquistò il diritto di sedere dalla parte dei vincitori nel Trattato di Versailles.

Il grande protagonista della Conferenza di Pace, fu il Presidente americano Woodrow Wilson. Wilson si presentò con una lista di 14 punti che avrebbero dovuto guidare il mondo uscito da quel devastante conflitto; erano punti che prevedevano, tra le altre cose, l’autodeterminazione dei popoli, il disarmo, la nascita di una Lega delle Nazioni, un organismo sovranazionale con lo scopo di regolare i conflitti tra i Paesi firmatari.
Era una lista di grande suggestione, degna di una mente liberale qual era, apparentemente, quella di Wilson. Però, nella lista, mancava un punto fondamentale: l’uguaglianza razziale.
Woodrow Wilson era tanto liberale all’esterno quanto conservatore all’interno degli Stati Uniti dove continuava il sistema della segregazione della comunità nera.

Versailles 1919
Versailles 1919

William Monroe Trotter era un editore e attivista per i diritti della comunità afro-americana, Era un grande nemico di Wilson con cui aveva avuto vivaci discussioni sulla condizione della comunità nera negli Stati Uniti. Trotter volle usare il grande palcoscenico mediatico del Trattato di Versailles per mostrare al mondo l’ipocrisia del Presidente Wilson. Però il Dipartimento di Stato rifiutò il passaporto a Monroe, e ad altri attivisti, che così non riuscì a raggiungere la Francia. Si dovette arrangiare e alla fine riuscì ad arrivare in Europa, salvo poi scoprire che la conferenza era già terminata.

La questione dell’uguaglianza razziale, però, venne dibattuta a Versailles, per merito della delegazione giapponese guidata dal Barone Makino Nobuaki. L’emendamento, dopo una vivace discussione, ebbe la maggioranza dei voti, ma il presidente della conferenza, che era proprio Wilson, decise di cambiare le regole: data l’importanza della materia, decise che era necessaria l’unanimità: siccome Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia avevano votato contro, l’emendamento venne respinto.

Nonostante lo scarso successo dell’iniziativa, Makino Nobuaki divenne un eroe per la comunità nera, almeno per una parte di essa. C’erano alcuni che, in casa, avevano appese due foto: quella del Barone Makino e quella di Abraham Lincoln. La proposta giapponese contro la discriminazione razziale, ebbe un grande impatto psicologico fra gli afro-americani.

Il punto principale ora è capire se, e quanto, il comportamento del Giappone fosse sincero. E’ subito evidente questa coincidenza verificatasi a Versailles, l’intrecciarsi del fallito tentativo di William Monroe Trotter con quello, anch’esso fallito, di Makino Nobuaki.
Il Giappone aveva veramente a cuore le sorti delle minoranze razziali ? Era sincera quando affermava di volere l’uguaglianza di tutti i popoli della Terra ?
Proprio in quegli anni il Giappone era in lotta contro la Cina e la Corea; e verso questi due popoli usava gli stessi metodi dei colonizzatori bianchi. Cinesi e coreani erano costantemente discriminati.
Quindi, viene da pensare, la proposta fatta a Versailles era solo una trappola per il Presidente Wilson: dimostrare al mondo l’ipocrisia americana. Il Presidente Wilson, disposto, da una parte, a creare una organizzazione sovranazionale per la difesa della Pace e dell’autodeterminazione dei popoli e, dall’altra, non faceva niente per alleviare la discriminazione e le sofferenze della comunità afro-americana.
In ogni caso il comportamento del Giappone a Versailles, con la sua proposta sull’uguaglianza razziale, fece una grande impressione nella comunità afro-americama: il Giappone divenne il campione della resistenza contro la razza bianca.

Fusae Ichikawa
Fusae Ichikawa

Nel 1924 la suffragetta giapponese Fusae Ichikawa, volò negli Stati Uniti dove prese contatto con Alice Paul, leader del movimento femminista. Durante il soggiorno si interessò circa le condizioni delle donne nere. C’era quindi anche un sincero e reciproco interesse sulle rispettive condizioni nell’ottica di una resistenza alla dominazione bianca.
Intellettuali neri e giapponesi mostrarono una simpatia per le reciproche cause: i nipponici erano a fianco dei neri americani nella loro lotta contro Jim Crow, il personaggio diventato l’emblema della discriminazione razziale negli Stati Uniti.

Ma Fusae non era l’unica a mostrare interesse, genuino, verso la causa dei neri.
Yasuichi Ikida, con il fratello maggiore Seiichi, aveva una azienda a Taiwan dove rimase due anni. Tornato ad Osaka, frequentò una università che aveva rapporti con l’americana YMCA. Non si sa come e dove,ma Ikida comnciò ad interessarsi alla situazione dei neri americani. Trasferitosi, negli anni ‘20, negli Stati Uniti, per motivi di studio, visitò varie istituzioni scolastiche della comunità afro-americana. Soprattutto cominciò a frequentare le riunioni della NAACP, l’associazione nazionale per la promozione delle persone di colore. Fu in questo ambiente che conobbe uno dei fondatori dell’associazione: William Edward Burghardt Du Bois. Anche Fusae Ichikawa, durante la sua permanenza negli Stati Uniti, entrò in contatto con il NAACP.

W.E.B. Du Bois era un influente storico, filosofo e saggista. Fu un instancabile attivista a favore dei diritti della comunità afro-americana; era anche un tenace sostenitore del Giappone quale baluardo contro il dominio dei bianchi. Du Bois, negli anni ‘30, visitò il Giappone e la Cina; a quest’ultimo Paese che, secondo Du Bois, non aveva fatto abbastanza, al contrario del Giappone, per respingere la colonizzazione bianca, chiese di accettare il dominio giapponese. Fu Yasuichi Ikida ad organizzare il viaggio di Du Bois in Giappone.

Altro eminente intellettuale nero, di origini giamaicane, a prendere le parti del Giappone, fu Marcus Garvey che, addirittura, prefigurava una grande guerra razziale in cui tutte le minoranze non bianche si sarebbero dovute riunire attorno al Giappone. Garvey era un nazionalista che proponeva il ritorno in Africa di tutti i neri per cacciare i colonizzatori bianchi; all’interno della comunità nera, era un feroce avversario di Du Bois con cui, evidentemente, condivideva solo la grande considerazione verso il Giappone imperiale.

Era chiaro che in certi ambienti intellettuali giapponesi, c’era un sincero interesse per la condizione della comunità afro-americana; ma il resto del Paese ?
Abbiamo già detto che, in quei decenni, il Giappone stava usando in Asia gli stessi metodi che i colonialisti bianchi utilizzavano in Africa. Come si può quindi pensare ad un sincero interesse giapponese verso l’uguaglianza delle razze ? Inoltre, c’è un altro aspetto da considerare: nei primi decenni del XX secolo, i rapporti tra Giappone e Stati Uniti non erano certo idilliaci. Durante la Prima Guerra Mondiale, pur combattendo dalla stessa parte, Tokyo aveva sempre avuto il timore di una guerra contro gli Stati Uniti; tant’è vero che era restia a mandare navi nel Mediterraneo per non sguarnire la propria difesa nel caso di un eventuale conflitto militare contro gli americani.
Al Giappone, quindi, un’alleanza con la comunità afro-americana faceva di certo comodo: in caso di conflitto sarebbe stato molto utile avere degli alleati, magari degli agenti sabotatori, nel cuore del Paese nemico.

Marcus Garvey
Marcus Garvey

Ma la comunità nera americano non era compatta nella sua simpatia verso il Giappone. Molti, la maggioranza, credevano che, in fin dei conti, il Giappone non era diverso dai colonizzatori bianchi. L’imbarazzo, per gli afro-americani, crebbe quando il Giappone firmò l’alleanza con l’Italia fascista e la Germania nazista. La Germania di Hitler, con la sua teoria sulla superiorità della razza ariana, non riscuoteva certo le simpatie della comunità nera: sembrava impossibile che il Giappone, ritenuto ancora, il campione fra gli oppositori al dominio bianco, si fosse unito alla Germania e all’Italia che stava brutalizzando le sue colonie in Africa. Du Bois cercò di giustificare il comportamento giapponese come una necessità dovuta alle circostanze: in definitiva, sosteneva, era stata l’ostilità americana e britannica a spingere il Giappone fra le braccia di Hitler.

Anche Marcus Garvey, nonostante tutto, proseguì nel suo appoggio al Giappone e, anzi, le sue idee continuarono a riscuotere un certo successo, specialmente negli stati del sud dove la discriminazione, i linciaggi e il lavoro sottopagato erano ancora largamente diffusi; in questo ambiente la comunità nera era particolarmente sensibile alle parole di fuoco di Garvey. Negli anni ‘30, l’influenza dell’UNIA (Universal Negro Improvement Association), l’associazione fondata da Garvey, trovò terreno fertile negli stati del sud. Tra i compiti dell’UNIA, organizzare i neri per commettere atti di sabotaggio e di supporto allo sforzo bellico del Giappone.

Durante la 2° Guerra Mondiale, centinaia di afro-americani vennero arrestati con l’accusa di sedizione. Fra gli arrestati, anche Elijah Muhammed, leader della “Nazione dell’Islam” e futuro mentore di Malcom X. Altri vennero arrestati per aver prefigurato un’alleanza fra Giappone e l’Africa in un mondo dominato dalle forze dell’Asse.
Alcuni non si limitarono alla teoria: nel novembre del 1942, nell’Illinois, un gruppo di afro-americani organizzò una esercitazione militare per non farsi trovare impreparato nel caso bisognasse fornire supporto ad una ipotetica invasione giapponese.
La maggioranza della comunità nera, la componente liberale e quella socialista, vedevano comunque il Giappone come un nemico da combattere; la lotta contro il fascismo, portava all’inevitabile lotta contro il Giappone.

In ogni caso, nei primi decenni del XX secolo, il caso Giappone non lasciò certo indifferente la comunità afro-americana.

Autore : Cristiano Suriani

Fonti:
Black Radicalism’s Complex Relationship with Japanese Empire
The Pro-Japanese Utterances of W.E.B. Du Bois
Gerald Horne – “Facing the Rising Sun: African Americans, Japan, and the Rise of Afro-Asian Solidarity” (ISBN: 9781479848591)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.