Junko Tabei, la leggenda dell’alpinismo femminile

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Junko Tabei
(Jaan Künnap, CC BY-SA 4.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0, via Wikimedia Commons)

Scalare l’Everest non è facile e solo chi è dotato di una grande preparazione fisica e mentale, unite ad una grande esperienza e padronanza della tecnica, può ambire di raggiungere gli 8848 metri della vetta.

La giapponese Junko Tabei, il 16 Maggio 1975, fu la prima donna a raggiungere la vetta dell’Everest.
Junko Tabei è sicuramente una icona nella storia dell’alpinismo mondiale. Fu anche la prima donna a scalare le “Seven Summits”, le montagne più alte di ogni continente.

Junko TabeiNata nel 1939 a Miharu, nella prefettura di Fukushima, ebbe un’infanzia non proprio felice, tra fragilità fisica e ristrettezze economiche della famiglia. Il suo cognome da ragazza è Ishibashi
Le prime esperienze con la montagne, le ebbe grazie alle gite scolastiche; in quelle occasioni nacque la sua grande passione per l’alpinismo; a 10 anni il portò la classe a scalare il monte Nasu nel parco nazionale di Nikko. Nonostante la grande passione per le scalate in montagna, Junko Ishibashi, proseguì gli studi e si iscrisse all’Università Femminile Showa dove frequentò il corso di Letteratura inglese e americana. Durante questo periodo universitario, fece parte del club studentesco di appassionati dell’alpinismo.

Erano anni in cui nella società, ed in particolare in quella giapponese, era molto diffusa l’idea che la donna dovesse limitarsi ad accudire la casa e a crescere i figli. La Ishibashi andò quindi incontro allo scetticismo generale, se non proprio all’ostracismo, quando cercò di iscriversi a qualche gruppo di alpinismo.  Nonostante le difficoltà, continuò a praticare l’alpinismo e, per finanziare il suo hobby, lavorò come editrice su una rivista scientifica o impartendo ripetizioni di inglese. Negli anni ’60 Junko Ishibashi terminò la scalata di tutte le maggiori vette del Giappone, compreso il monte Fuji. Durante questi anni, trovò anche il marito, Masanobu Tabei, un noto alpinista.

Visto che l’ambiente dei club di alpinismo era prettamente maschile, e che una donna arrampicatrice era vista con sarcasmo e scetticismo, la Tabei, nel 1969 decise di fondare il “Ladies Climbing Club” (LCC), un club alpino, tutto al femminile. Nel 1970 Junko Tabei fu la prima donna a raggiungere il monte Annapurna III (7.555 metri). Con le donne dell’LCC intraprese una tumultuosa serie di imprese che la portarono a scalare vette di oltre 70 Paesi.
Junko Tabei

Nel 1975, la sua più grande vittoria: la conquista, a 35 anni, del monte Everest.
L’LCC, dopo una serie di difficoltà burocratiche per ottenere i permessi dal governo nepalese, mise in piedi un gruppo di 15 alpiniste che diede vita al progetto “Japanese Women’s Everest Expedition”. Il gruppo era guidato da Eiko Hisano ed era composto da madri, insegnanti, lavoratrici.
La Tabei aveva già un nome rispettato nell’ambiente, ma ciò non facilitò la ricerca di sponsor che, sempre per il solito pregiudizio di genere, fu difficile; alla fine la Nippon Television e il giornale Yomiuri Shimbun accettarono di finanziare il progetto.

Junko Tabei Dopo un lungo addestramento, il gruppo iniziò, nel maggio del 1975, la marcia di avvicinamento, ma le cose si misero male. A quota 6.300 il campo venne investito da una valanga e la stessa Tabei, sepolta, rimase incosciente per qualche minuto. Junko Tabei non si perse d’animo e dodici giorni dopo, il 16 maggio, in compagnia della sua guida sherpa, raggiunse la vetta.
Il successo ebbe una grande risonanza in Patria e la ormai celebre alpinista divenne una leggenda.

Negli anni successivi Junko Tabei continuò a scalare vette, in tutto il mondo. Si dedicò anche alla divulgazione, scrivendo diversi libri, e alla lotta per la preservazone ambientale delle montagne.
Nel 2012 le venne diagnosticato il cancro contro cui lottò fino alla fine. Morì il 20 Ottobre del 2016 a 77 anni.

Qualhe mese prima di morire, guidò, sul monte Fuji, un gruppo di giovani, sfollati a seguito del disastro della centrale nucleare di Fukushima.

Autore: Cristiano Suriani

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