La marcia della morte di Bataan

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Marcia di BataanPoco dopo l’attacco del 7 dicembre del 1941 a Pearl Harbour, i giapponesi iniziarono le operazioni per l’invasione delle Filippine. Già nella prima metà di dicembre l’esercito imperiale mise piede nell’arcipelago, l’aviazione conquistò il dominio nei cieli e in pratica le Filippine vennero isolate da qualsiasi tentativo di farvi giungere rinforzi. Rinforzi che sperava di ricevere il generale Douglas MacArthur quando decise di ritirarsi nella penisola di Bataan con l’intenzione di resistere fino all’arrivo di nuove truppe dalla madrepatria.
Agli inizi di gennaio 1942 cominciò la battaglia di Bataan. I combattimenti, molto aspri, durarono 3 mesi.

Ormai perso anche quel lembo di territorio filippino, MacArthur, il 12 marzo del 1942, fuggì a Mindanao da dove, il 22 dello stesso mese, volò in Australia. Il 3 aprile iniziò l’attacco finale che portò, in appena sei giorni, alla resa del generale Edward P. King.

Dopo la conquista della penisola di Bataan, e in vista dell’assalto alla strategica isola di Corregidor, i giapponesi si ritrovarono nella necessità di spostare i prigionieri di guerra finiti in loro mani, a seguito della resa americana. I piani, in origine, prevedevano di spostare 25.000 prigionieri al campo di prigionia di O’Donnell; il numero preventivato risultò essere largamente inferiore alla realtà. Alla fine si trovarono a dover organizzare il trasferimento di ben 76.000 prigionieri, tra cui circa 11.000 soldati americani. I giapponesi non erano preparati ad un simile evento che, oltretutto, si verificò un mese prima del previsto. A cause dell’insufficiente rete stradale e la mancanza di una rete ferroviaria, il trasferimento avvenne a piedi.

La marcia, verso nord, iniziò il 10 aprile e la prima tappa fu Balanga dove la testa del gigantesco corteo arrivò il giorno seguente. Tra le file dei prigionieri, già si ebbero decine di morti; dovevano mantenere un ritmo elevato di marcia, per non rimanere indietro ed essere colpiti dal bastone o dalla baionetta di qualche sentinella. Le razioni di cibo distribuito, tra i prigionieri, era scarso e di pessima qualità. Molti si ammalarono o morirono di stenti: per la fame, per la sete o per la stanchezza.
A causa della scarsità di sentinelle giapponesi, molti soldati americani e filippini riuscirono a scappare nella foresta: da loro nascerà poi il movimento di resistenza armata all’occupazione giapponese.

Dopo Balanga, la successiva tappa fu Orani che distava 13 chilometri. Durante le soste, i prigionieri venivano ammassati in recinti dove le condizioni igieniche erano terribili. Molte sentinelle poi si dimostrarono sadiche e violente nel trattamento dei prigionieri. Le piccole razioni di cibo che americani e filippini ricevevano era di pessima qualità, ma, ciononostante venivano divorate, tanta era la fame e la sete che avevano i prigionieri.

Marcia della morte di BataanLa tappa successiva fu Lubau, a 24 chilometri di distanza. Il lunghissimo serpentone di prigionieri proseguiva ad una andatura elevata che non tutti riuscivano a sostenere. Non si contavano le esecuzioni sul posto, le randellate e le baionettate a chi non ce la faceva più ad andare avanti. A Lubau i prigionieri vennero ammassati in un magazzino con poca aria a disposizione e con la situazione igienica disastrosa; dovettero anche subire le orrende brutalità delle sentinelle giapponesi. I civili filippini cercavano, in ogni modo, di portare del cibo ai prigionieri, ma la situazione rimaneva comunque drammatica.

La successiva tappa era San Fernando, un percorso più breve (13 km), ma il più pesante. La sete, la fame, la stanchezza, il sole cocente, le malattie provocarono la morte di numerosi prigionieri i cui corpi venivano gettati ai lati della strada.
A San Fernando terminò la prima parte del viaggio; qui la situazione migliorò leggermente: i sopravvissuti riuscirono a dormire una notte intera e a ricevere un cibo decente. Alcuni feriti vennero, addirittura, curati dalla Croce Rossa filippina.

Da San Fernando il viaggio proseguì in treno verso Capas. I prigionieri vennero stipati, fino all’inverosimile, in vagoni; erano così stretti che chi moriva, rimaneva in piedi. Da Capas di nuovo a piedi per 13 km fino alla meta finale: il campo di prigionia O’Donnel.
L’intero viaggio durò tre settimane.

Un conteggio dei morti è molto difficile da fare. Anche nel campo di O’Donnel i prigionieri morivano con una media di 30-50 al giorno che venivamo poi sepolti in fosse comuni. Bernard Millot, nel suo “La Guerra del Pacifico 1941-1945” riporta una stima di 7.000-10.000 vittime, tra cui 2.330 soldati americani.

Il 6 giugno di quell’anno, i filippini detenuti nel campo, ottennero la libertà. I prigionieri americani, circa 10 mila, vennero poi trasferiti a Cabanatuan da dove, mediante le famigerate Hell Ships, vennero trasferiti in campi di prigionia in Giappone, in Corea ed in Manciuria. Nel gennaio 1945 le Filippine vennero riconquistate dagli americani che liberarono 511 loro connazionali ancora detenuti a Cabanatuan.

Monumento a BataanLa marcia della morte di Bataan fu senza dubbio un crimine contro l’umanità; ma perchè i giapponesi furono così spietati contro chi ormai aveva gettato le armi e si era consegnato con le mani alzate in segno di resa ?
In primo luogo ci fu una notevole disorganizzazione da parte giapponese: il trasferimento fu inprovvisato e per un numero di prigionieri triplo rispetto alle aspettative. Mancavano direttive precise e la confusione, tra i guardiani giapponesi, era grande. Inoltre i giapponesi, come retaggio del codice del samurai, non ammettevano la prigionia: o si vinceva, o si moriva; chi si arrendeva non meritava il rispetto dei suoi simili: era un codardo, un infame. Anche per questo i soldati giapponesi mostrarono disprezzo verso i prigionieri di guerra.

Masaharu HommaComandante della 14° armata giapponese, impegnata nell’invasione delle Filippine, era il generale Masaharu Homma.
Homma era un personaggio particolare su cui vale la pena soffermarvisi sopra. Nato sull’isola di Sado, il 28 novembre del 1888, intraprese, con ottimi risultati, la carriera militare, frequentando varie scuole dell’esercito. Durante la Prima Guerra Mondiale, venne spedito in Europa al seguto del corpo britannico in Francia in qualità di osservatore. Nel 1922 fu addetto miltare presso il governo britannico dell’India e, dal 1930 al 1932, fu mandato di nuovo in Europa, in Gran Bretagna, come attachè militare presso l’ambasciata nipponica. Nel 1937 divenne aiutante di campo del Principe Chichibu; al suo seguito fece un lungo viaggio in Europa, della durata di alcuni mesi, che toccherà vari Paesi. Ormai, raggiunto il rango di generale, Homma, al comando della 22°
divisione, partecipò, nel 1938, alla guerra contro la Cina. Successivamente gli venne assegnato il comando delle truppe a Taiwan. Con l’inizio della Guerra del Pacifico, assunse il comando della 14° armata destinata all’invasione delle Filippine.

L’invasione dell’arcipelago filippino, iniziò il 10 dicembre del 1941 e si concluse l’8 maggio 1942 con la vittoria giapponese sulle truppe americane-filippine guidate dal generale Douglas MacArthur che fu costretto a fuggire in Australia. Il generale Homma, in questi mesi della campagna filippina, mostrò un inusuale, per gli standard nipponici del periodo, comportamento verso il nemico: ordinò che i prigionieri filippini venissero trattati con il massimo riguardo, si adoperò affinchè i suoi soldati non fossero protagonisti di saccheggi e stupri; a Manila, addirittura, in occasione dei festeggiamenti per la vittoria, fece suonare “Stars and Stripes” in onore dei prigionieri americani. Questa liberalità lo mise in cattiva luce con i suoi superiori che, subito dopo la presa di Corregidor, lo sostituirono con il generale Shizuichi Tanaka.
Il generale Masaharu Homma fu costretto a ritirarsi a vita privata.

Dopo la guerra Homma venne arrestato ed estradato in Filippine per essere processato da un tribunale americano – non, come ci si sarebbe aspettati, da una una commissione internazionale. L’accusa era relativa ai crimini compiuti durante la marcia della morte di Bataan.
Il generale nipponico si difese strenuamente affermando di non aver saputo niente dei crimine, se non dopo la guerra; al tempo era impegnato a progettare l’assalto a Corregidor e aveva delegato ai suoi sottoposti la gestione del trasferimento dei prigionieri.
La colpa del generale non fu quella di aver direttamente ordinato le atrocità contro i prigionieri americani e filippini, ma di negligenza; fu accusato di non essere riuscito ad impedire le atrocità e di essere comunque responsabile delle azioni dei suoi sottoposti di cui si era malamente fidato.
Il generale Homma Masaharu venne condannato a morte e fucilato il 3 aprile 1946.

Molti dubbi rimangono sulla correttezza del processo che, secondo alcuni osservatori, anche americani, fu a senso unico, sin dall’inizio. Se fosse stata seguita la prassi, Homma sarebbe dovuto essere giudicato da una commissione internazionale, come è stato per gli imputati nel processo di Tokyo e di Norimberga; invece gli americani lo trasferirono in Filippine e lo processarono in un tribunale americano. Non estranea a questa decisione, la voglia di rivalsa del generale MacArthur contro l’uomo che lo sconfisse sul campo di battaglia, costringendolo alla fuga in Australia.

Autore : Cristiano Suriani

Fonti :

  • Bernard Millot – La Guerra del Pacifico, 1941-1945
  • Tom Lansford – Bataan Death March
  • Stanley Sandler (editore) – World War II in the Pacific: An Encyclopedia

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