La strada verso Tsushima

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TsushimaLa guerra tra Russia e Giappone, nel 1904 – 1905, detiene due importanti primati: è il primo dei grandi conflitti che segnarono la triste storia del XX secolo e, inoltre, è la guerra in cui, per la prima volta, una delle grandi potenze europee è stata sconfitta da un esercito asiatico. Questo secondo primato impressionò molto le potenze occidentali e condizionò non poco i rapporti tra questi Paesi e il Giappone.
La vittoria del Giappone fu impressionante e schiacciante, su un esercito ritenuto, fino ad allora, uno dei più potenti sulla scena mondiale. Purtroppo, però, l’esercito russo era in declino: dotato di armi antiquate e comandato da ufficiali corrotti e impreparati: già serpeggiavano quei germi che avrebbero portato la Russia alle rivoluzioni che, negli anni seguenti, avrebbero insanguinato la Russia, fino alla grande rivoluzione del 1917.
Il Giappone, dal canto suo, arrivava da una vittoriosa guerra, risalente a dieci anni prima, contro la Cina; una vittoria sorprendente, se si considera che l’Esercito Imperiale Giapponese era nato da solo una ventina di anni, nel 1871. Nel giro di pochi decenni, il Paese del Sol Levante si era dotato di forze armate moderne e ottimamente addestrate.

Per parlare della battaglia navale di Tsushima (27-28 maggio 1905), oggetto di questo articolo, conviene partire dal Trattato di Shimonoseki, firmato il 17 aprile 1895, che segnò l’atto finale della guerra tra Cina e Giappone.
La prima guerra sino-giapponese scoppiò per il controllo sul Regno di Corea che, fino ad allora era vassallo dell’Imperatore cinese. Il nascente Stato giapponese, per una serie di motivi (economici, sociali e militari), aveva messo gli occhi sulla penisola coreana. Il Giappone era voglioso di conquistarsi un suo impero coloniale e la Cina rappresentava una preda perfetta. Il glorioso Impero Celeste era oramai in pesante declino: era un gigante moribondo sulla cui carcassa le potenze occidentali stavano già pasteggiando.
Le navi e l’esercito di terra cinesi a nulla poterono contro i moderni mezzi a disposizione del seppur giovane, ed inesperto, Esercito Imperiale Giapponese.
Il conflitto durò meno di un anno (dall’agosto 1894 a marzo 1895) e si concluse con la totale sconfitta dell’esercito cinese.

I termini del Trattato di Shimonoseki furono piuttosto pesanti per la Cina che dovette cedere al Giappone l’isola di Taiwan, le isole Pescadores e la penisola di Liaodong con Lüshun (conosciuto con il nome occidentale di Port Arthur). Inoltre la Cina si impegnava a riconoscere la piena e completa indipendenza della Corea, rinunciando a qualsiasi forma di tributo da parte del Regno di Corea. L’indennità da pagare al Giappone, venne stabilita in 200.000.000 di Taels, equivalenti a 7.500.000 chili di argento, pagabili in sette anni. Infine la Cina fu costretta ad aprire una serie di porti alle merci giapponesi e a concedere al Giappone le stesse clausole favorevoli concesse ai Paesi occidentali in occasione della stipula dei vari trattati commerciali.

I dettami del trattato di pace tra Cina e Giappone, misero in allarme la Russia che temeva la crescente influenza del Giappone nel sud-est asiatico. Gli occhi del gigante russo si volsero, in particolar modo su Port Arthur che, secondo il trattato, la Cina avrebbe dovuto cedere ai giapponesi.
La fortezza, posta all’estremità della penisola del Liaodong, era una posizione di notevole valenza strategica: il possesso di Port Arthur permetteva il controllo sulla vicina baia e poteva essere un’ottima base per le operazioni contro la Corea; inoltre era una formidabile base navale.
La Russia, sull’Oceano Pacifico, aveva un solo grande porto: quello di Vladivostok. Purtroppo Vladivostok, per molti mesi all’anno, a causa del ghiaccio, non era operativo. I russi, quindi, avevano bisogno, sul Pacifico, di un’altra base navale che potesse essere operativa tutto l’anno: la scelta cadde su Port Arthur.

Cominciarono quindi le pressioni sul Giappone affinchè, dietro un aumento delle indennità di guerra, rinunciasse a Port Arthur. Le pressioni diplomatiche vennero portate avanti dal gruppo del “Triplice Intervento”, composto dalla Russia, dalla Francia e dalla Germania. I due Paesi europei si unirono alla Russia per una serie di diversi motivi: la Francia era legata alla Russia da un’alleanza militare, risalente al 1892; la Germania, invece, oltre ad avere degli interessi commerciali, nella zona, e la Russia poteva essere un buon alleato, vedeva di buon occhio lo spostamento del baricentro russo verso oriente che lasciava, quindi, l’ovest sguarnito e facile preda del Kaiser Guglielmo II.
Il Giappone, che non si sentiva in grado di affrontare una guerra contro tre potenze di primo piano sullo scacchiere mondiale, cedette alle pressioni e, nel novembre del 1895, in cambio di ulteriori 30 milioni di Taels, restituì Port Arthur alla Cina.

Con grande disappunto dei giapponesi, due anni dopo, la Cina, che non era nelle condizioni di poter opporre una valida resistenza di fronte alle richieste straniere, cedette Port Arthur alla Russia che subito vi trasferì militari e mezzi per consolidare la fortezza. Inoltre iniziò la costruzione del collegamento ferroviario tra Port Arthur e Herbin, in Manciuria, un prolungamento della Transiberiana.
Il gesto venne visto da Tokyo come una minaccia verso la Corea che il Giappone considerava all’interno della sua sfera d’influenza.
Nel 1903 e nel 1904 ci furono, tra i due Paesi, numerosi incontri diplomatici per cercare di disinnescare la tensione: il Giappone era disposto a riconoscere la Manciuria nella sfera russa, in cambio del riconoscimento della Corea in quella giapponese. Le trattative non portarono a nessun risultato e, il 6 febbraio 1904, vennero interrotte.
Guerra Russia - Giappone
La sera dell’8 febbraio, ancora prima di dichiarare ufficialmente guerra alla Russia, cacciatorpediniere della Marina Imperiale Giapponese attaccarono, di sorpresa, la flotta russa ancorata a Port Arthur. La battaglia durò fino al giorno seguente e si concluse in modo interlocutorio: in termini di perdite umane, i numeri si equivalsero, ma la flotta russa ebbe danneggiate tre delle navi più grandi: le corazzate “Retvizan” e  “Cesarevič” e l’incrociatore “Pallada”.

Lo scopo primario dei giapponesi era quello di mettere in sicurezza le linee di comunicazione e di rifornimento tra la Madrepatria e le sue truppe che sarebbero sbarcate sul continente asiatico, in Corea e in Manciuria. Per arrivare a questo risultato, c’era da mettere fuori uso la flotta russa che poteva rappresentare un costante pericolo.
L’attacco di sorpresa a Port Arthur aveva appunto lo scopo di sferrare un colpo mortale alla flotta russa, ma il successo fu solo parziale. Solo alcune navi russe furono danneggiate, ma, a causa del blocco nipponico, la flotta russa non fu in grado di uscire dal porto.

Nell’agosto del 1904, l’Ammiraglio Wilgem Vitgeft, comandante della 1° Squadrone del Pacifico, imbottigliata a Port Arthur, ricevette l’ordine di forzare il blocco per congiungersi con la flotta alla fonda a Vladivostok: insieme, poi, avrebbero dovuto affrontare e sconfiggere la flotta giapponese.
Purtroppo, per i russi, le cose non andarono bene: il 1° Squadrone, nel tentativo di forzare il blocco, attorno a Port Arthur, venne sconfitto nella Battaglia del Mar Giallo (10 agosto); quattro giorni dopo, venne sconfitto, a Ulsan, anche la flotta proveniente da Vladivostok e guidata dall’Ammiraglio Karl Jessen.

A questo punto, su quel fronte della guerra, la situazione, per la Russia, era piuttosto complicata. Port Arthur era bloccata e sotto assedio; la Flotta del Pacifico in pratica non esisteva più. Alla corte dello Zar Nicola II, cominciò a circolare un’idea che potrebbe sembrare assurda, e infatti lo era: mandare la Flotta del Baltico a liberare Port Arthur. Un viaggio lunghissimo (18.000 miglia) che avrebbe portato le navi russe dal Baltico a Port Arthur, attraversando tre oceani e doppiando Capo di Buona Speranza. Un’impresa mai tentata prima.

All’epoca i russi avevano tre flotte: una, in Asia, divisa tra Port Arthur e Vladivostok; una nel Mar Nero che però era imbottigliata in quanto i turchi tenevano chiuso lo stretto dei Dardanelli; infine c’era la flotta del Baltico, l’unica disponibile per l’impresa.
Il progetto era arduo e ricco di incognite, ma alla fine convinse sia i consiglieri dello Zar che lo stesso Nicola II. Già il fatto che abbiano approvato un progetto così strampalato, dà l’idea del grado di preparazione militare della gerarchia russa.
Fu difficile trovare un ammiraglio disposto a guidare la flotta in un viaggio così lungo e dall’esito così incerto; alla fine la scelta ricadde sul capo di Stato Maggiore della Marina, l’Ammiraglio Zinovij Rozdesrvenskij il quale era più un burocrate che un militare.

Ammiraglio Rožestvenskij
Ammiraglio Rožestvenskij

Già in fase di allestimento della flotta, sorsero seri problemi. La situazione in Estremo Oriente richiedeva l’invio immediato dei rinforzi e quindi non c’era tempo per aspettare le moderne corazzate che erano ancora in fase di costruzione: si doveva fare affidamento solo su navi antiquate e malamente armate. Altro problema riguardò l’equipaggio, largamente incompleto e poco addestrato: gli elementi migliori della marina era dislocati presso le flotte nel Mar Nero e in Asia. Pertanto le file vennero riempite con coscritti e riservisti con poco o nessun addestramento. La qualità degli equipaggi, fu uno dei punti deboli della flotta: gente che non era mai stata su una nave, artiglieri scarsi, uomini molto spesso già sfiduciati per l’esito della spedizione o con già la testa piena di idee rivoluzionarie.

C’era poi un altro pesante problema: il carbone. La flotta, per il suo viaggio, avrebbe avuto bisogno di un grande quantitativo di carbone e sarebbe stato difficile rifornirsi lungo la rotta a causa della mancanza di porti di Paesi amici. La Gran Bretagna non avrebbe di certo aperto i suoi porti e la Francia imponeva severe restrizioni che di fatto rendevano impraticabili le soste presso i porti delle sue colonie. Finalmente i russi riuscirono ad accordarsi con una società privata tedesca che avrebbe rifornito, in alto mare, la flotta russa mediante 60 navi dislocate lungo il percorso.

Prima di affrontare il racconto dell’avventuroso viaggio, c’è da fare un preambolo.
Dal 1902 esisteva, tra Giappone e Gran Bretagna, un trattato di alleanza. In questo trattato, tra le altre cose, si riconosceva le rispettive zone di influenza in Estremo Oriente e si prometteva il reciproco sostegno militare nel caso in cui uno dei due contraenti fosse coinvolto in una guerra contro più di una Potenza o la neutralità in caso di guerra nell’Estremo Oriente.
L’amicizia tra i due Paesi era dovuta ad una comune visione nel teatro in Asia Orientale dove entrambi avevano interessi commerciali. Il nemico era comune: l’espansionismo russo.
Già nel 1895 la Gran Bretagna si era rifiutata di entrare, a fianco di Russia, Francia e Germania per fare pressione sul Giappone affinché restituisse alla Cina la penisola del Liaodong. I britannici, inoltre, erano pesantemente coinvolti nella costruzione del nuovo Giappone. A cavallo dei due secoli, in entrambi i Paesi, ci fu una campagna di stampa a favore di un trattato di Alleanza. Trattato che poi venne firmato nel 1902 e che, dopo essere stato rinnovato varie volte, sarebbe durato fino al 1923.
A seguito di questa alleanza, quindi, la rotta della flotta russa divenne più tortuosa: gli inglesi, non erano automaticamente in guerra, a fianco del Giappone, contro la Russia, ma non erano di certo ben disposti a favorire la marcia della flotta russa.

La Gran Bretagna era in possesso del canale di Suez, un passaggio obbligato per una flotta che intendesse raggiungere, nel più breve tempo possibile, le acque del Pacifico. L’Ammiraglio Rozdesrvenskij non si fidò a far passare tutta la flotta per lo stretto canale, per di più controllato dai britannici. Pertanto il grosso della flotta, comprese le navi più moderne, avrebbe doppiato Capo di Buona Speranza. Solo una piccola parte della flotta sarebbe passate per Suez. Il canale stretto e il notevole traffico commerciale, avrebbero potuto rallentare di molto la marcia di una grande flotta, verso le acque giapponesi.

Comunque, alla fine, il 14 ottobre 1904, alla presenza dello Zar Nicola II, la rinominata 2° Flotta del Pacifico levò le ancore a salpò in direzione di Port Arthur nella penisola di Liaodong.
La flotta era composta da 42 navi fra corazzate, incrociatori, cacciatorpediniere e varie unità di appoggio; alcune, poche, erano navi moderne, ma per la maggior parte la flotta era costituita da vascelli obsoleti e malamente armati.
Si scoprì poi che le munizioni non erano sufficienti e quindi si decise di ridurre al minimo le esercitazioni militari durante il viaggio.

Dopo poco più di una settimana di viaggio, un incidente che avrebbe potuto avere conseguenze molto serie e che rivelò, qualora ce ne fosse bisogno, la scarsa preparazione degli ufficiali.
Il 22 ottobre, nel bel mezzo del mar del Nord, non lontani dalle coste inglesi, la flotta russa aprì il fuoco contro alcune imbarcazioni scambiate per navi da guerra giapponesi: in realtà si trattava di una innocua flotta di pescherecci.
Nessun ufficiale si pose il dubbio sul perchè delle navi giapponesi si trovassero in quell’area così lontana dalle coste giapponesi. Ci vollero venti minuti prima che i russi capissero che non erano navi giapponesi, quelle che avevano di fronte. Lo scontro non fu indolore, un peschereccio colò a picco provocando la morte di tre pescatori; altri pescherecci vennero pesantemente danneggiati; anche un paio di navi russe furono colpite dal fuoco amico: l’incrociatore “Aurora” fu colpito da sei cannonate. Fu grazie alla scarsa precisione dell’artiglieria russa che non si ebbero danni maggiori, sia tra i pescherecci, che poi si scoprì essere britannici, sia nella stessa flotta russa.

La Gran Bretagna non prese affatto bene l’episodio, anzi. Ad un certo punto sembrò che dovesse scoppiare una guerra tra i due Paesi, ma solo la mediazione francese riuscì a disinnescare la miccia. I russi dovettero scusarsi pubblicamente e pagare un indennizzo alla famiglie delle vittime.

Dopo questo incidente, il viaggio continuò, in direzione sud, tra navi piene di topi, burrasche e un clima sempre più caldo. Il 29 dicembre 1904 i russi arrivarono nel Madagascar dove appresero della resa di Port Arthur e della distruzione di quello che rimaneva della 1° Flotta del Pacifico. Gettarono l’ancora nei pressi dell’isola di Nossi-Be dove rimasero più di due mesi, in attesa del resto della flotta proveniente dal Canale di Suez e aspettando ordini da San Pietroburgo.

La sosta fu negativa per la disciplina dell’equipaggio; la noia e l’indisciplina presero presto il sopravvento. Molti diedero segni di squilibrio mentale, per non parlare poi dei casi di insubordinazione. Fu allestita una nave, la “Malay”, per riportare in Patria, gli elementi più difficili della spedizione: ubriachi, disadattati, malati e condannati per ammutinamento. Tra i russi si diffuse il gioco d’azzardo e l’hobby di collezionare animali esotici che trasformarono le navi in zoo ambulanti.

Intanto, dal fronte, arrivò la notizia della grave sconfitta russa nella battaglia di Mukden. I russi, pur in superiorità numerica, subirono un pesante rovescio: 40 mila morti e 49 mila feriti.
Molti, nella Seconda Flotta del Pacifico dell’Ammiraglio Rozdesrvenskij si chiesero se forse, a questo punto, non sarebbe stato meglio tornare indietro.
Ma, invece, si decise di proseguire e il 16 marzo la 2° Flotta del Pacifico lasciò il Madagascar.

Dalla Russia arrivò una notizia giudicata negativamente dall’Ammiraglio Rozdesrvenski; con le navi scartate da Rozdesrvenski, perchè ritenute obsolete, venne formata una 3° Flotta del Pacifico, sotto il comando del Contrammiraglio Nikolay Nebogatov che, attraverso Suez, si sarebbe unita alla 2° Flotta presso l’Indocina francese. L’incontro tra le due flotte russe avvenne il 11 maggio del 1905.
Secondo Rozdesrvenski questi ritardi non facevano che avvantaggiare i giapponesi e poi non era assolutamente d’accordo ad accollarsi una flotta di navi obsolete che sarebbero state solo d’intralcio; presentò le dimissioni che vennero respinte dallo Zar.

E così la 2° e la 3° flotta si diressero verso il loro destino: Tsushima.

La flotta giapponese, al comando dell’Ammiraglio Tōgō Heihachirō, era inferiore come numero di navi, ma qualitativamente era superiore: le navi giapponesi erano più robuste, meglio armate e più veloci. I giapponesi, inoltre, erano dotati del telegrafo senza fili che avrà un ruolo determinante nella battaglia.

Battaglia di TsushimaPer arrivare a Vladivostok, l’unico porto russo rimasto nella zona, c’erano tre strade possibili: gli stretti di La Pérouse, Tsugaru e Tsushima; l’Ammiraglio Rozdesrvenski, a corto di carbone, decise per la via più breve e più rischiosa: lo stretto di Tsushima. Navigando a fari spenti e con il favore della nebbia, la flotta russa riuscì quasi a passare senza farsi avvistare dai giapponesi. La nave ospedale russa “Orel”, che seguiva la flotta russa nelle retrovie, per le leggi internazionali, non poteva spegnere le luci e quindi finì per essere avvistata dalla nave giapponese “Shinano Maru”.
Grazie al telegrafo senza fili, la notizia dell’avvistamento raggiunse presto gli alti comandi che ebbe il tempo necessario per disporre la sua flotta in modo da affrontare al meglio i russi.

Alla 14 del 27 maggio, i giapponesi aprirono il fuoco. Poco dopo l’inizio delle ostilità, la corazzata russa “Oslyabya” colò a picco seguita, da lì a poco, dalla corazzata “Borodino”. Anche le corazzate “Knyaz Suvorov” e “Imperator Aleksandr III” andarono perse. Rozdesrvenski, che era imbarcato sull’ammiraglia “Suvorov”, subì diverse ferite; venne trasferito sulla cacciatorpediniere “Buyny” e il comando passò al Contrammiraglio Nebogatov.
La mattina del 28 maggio, la sorte dei russi era già segnata. Tutte le corazzate russe erano fuori uso: o affondate, o catturate. I giapponesi segnalavano la perdita di sole tre torpediniere.
Diverse navi russe lasciarono il campo di battaglia dirette sud, verso il porto di Manila.
Battaglia di Tsushima
Alle 9:30 Nebogatov alzò la bandiera bianca, ma questo non servì a fermare i giapponesi; ebbe quindi l’idea di issare la bandiera giapponese e questo pose fine alla battaglia.
Una battaglia che si concluse con una pesante sconfitta dei russi che ebbero 4.800 morti e 7.000 russi vennero fatti prigionieri. I giapponesi ebbero 110 morti e 590 feriti.

A metà Ottobre, Russia e Giappone, accettarono la mediazione americana per i colloqui di pace.

Autore: Cristiano Suriani

Fonti:
The Japanese Navy Scores a Decisive Victory
Russo-Japanese War: The 18,000-mile voyage
Alberto Caminiti – La Guerra Russo-Giapponese 1904-1905 (ISBN: 8873883834)

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