L’arte del Sampuru

Condividi
Ka23 13, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Chiunque sia stato, almeno una volta in Giappone, passando davanti ad un ristorante, piccolo o grande che sia, avrà sicuramente notato l’esposizione di pietanze, in plastica o in cera, che riproducono, in modo molto realistico, i piatti serviti nel locale: sushi, ramen, spaghetti, udon, tempura, pizza, bibite, ecc. Sono i sampuru il cui nome deriva da l’inglese “sample”.

La storia dei sampuru non è molto recente e nasce negli anni ’30 del secolo passato.
La seconda metà del XIX secolo fu per il Giappone un periodo di importanza fondamentale per la sua storia. L’incontro con la missione americana guidata dal commodoro Matthew C. Perry (luglio 1853) diede il via ad una serie di eventi che avrebbe portato alla nascita del Giappone moderno.

Sampuru

Per un paese, fino ad allora, quasi del tutto isolato al mondo esterno, il contatto con gli occidentali fu, a dir poco, scioccante. Dai paesi occidentali arrivarono in Giappone nuovi prodotti, nuove tecnologie, turisti, idee. Tra le cose che arrivarono, ci furono anche nuove pietanze, nuove ricette che, però, incontrarono una grande diffidenza da parte dei giapponesi fin troppo abituati alla loro, seppur ottima, cucina. Di conseguenza molti ristoranti ebbero difficoltà a proporre piatti che non fossero quelli della tradizione culinaria nipponica.

Nel anni ’30 del XX secolo, a Takizo Iwasaki, un giovane studente universitario, per rompere la diffidenza dei suoi concittadini, venne l’idea di creare piatti, fatti in cera, per rappresentare, in maniera molto realistica, queste pietanze straniere. Il primo sampuru riguardava una omelette di riso. Questi sampuru vennero collocati all’entrata dei ristoranti e avevano lo scopo di illustrare, agli avventori più diffidenti, queste pietanze provenienti da paesi così lontani. Il successo fu grande, sia tra i clienti che tra i ristoratori. Con l’arrivo dei turisti occidentali, sono comparsi anche finti piatti di numerose pietanze giapponesi i cui soli nomi, ai molti turisti ignoranti della lingua giapponese, non dicevano molto.
Siccome la cera tendeva a deteriorarsi con il tempo e con le alte temperature, ora viene largamente utilizzato il materiale plastico

Sampuru

I singoli piatti di plastica sono lavorati manualmente da abili artigiani. Nel 1980 il Victoria and Albert Museum di Londra presentò al pubblico alcuni di questi piatti considerati ormai dei veri e propri oggetti d’arte. Il prezzo di un sampuru può arrivare ai 100 euro. I ristoranti, se volessero creare sampuru per tutte le pietanze dei loro menù, dovrebbero spendere milioni di yen. L’industria dei piatti di plastica ha giro d’affari nell’ordine di miliardi di yen.
Il punto di partenza per la creazione di questi sampuru sono i piatti veri e propri da cui, grazie al silicone liquido, vengono ricavati i calchi. Per modellare e rifinire il piatto di plastica, vengono usati veri utensili da cucina. La colorazione avviene a mano. .Il risultato finale è un piatto il cui realismo è veramente incredibile: solo la mancanza del profumo tradisce la vera natura della pietanza.

Per chi volesse acquistare un sampuru, e portarselo a casa come souvenir, la meta obbligata è Tokyo; la Kappabashi-dori, chiamata Little Kitchen per l’alta concentrazione di negozi che vengono materiali per la cucina. Ci sono negozi dove ognuno può costruirsi il suo sampuru.
Per chi volesse acquistare online, questo è un sito interessante: Fake Food Japan

Autore : Cristiano Suriani