Mostri e spiriti inquieti nella tradizione giapponese

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YureiI mostri dell’immaginario popolare giapponese, generalmente noti come yōkai o “apparizioni misteriose”, sono indicati oggi anche con il più recente termine bakemono, traducibile con “creature trasformiste”, riferendosi alla loro capacità di celare o mutare il proprio aspetto. Essi sono di varia natura: alcuni si confondono con il mondo degli spettri (yūrei), mentre altri sono più simili alle manifestazioni dei kami, e collegati quindi a spiriti elementali e ancestrali.Lo studioso di linguistica Inoguchi Shōji ha compilato un’interessante classificazione sui tipi di apparizioni mostruose, sulla quale ci baseremo per il nostro studio. Egli ha istituito la classe dei reikai (“spiriti mostruosi”) che comprende diverse categorie tra cui quella dei reii (“spettro”), composta da entità che causano possessione e malattie come ad esempio i mononoke e i goryō; la classe costituita dagli yōkai.

Le figure mostruose sono considerate forme degenetate di culti religiosi dei kami, e rappresentano da sempre una parte importante della tradizione giapponese.

Si dice che in Giappone esistano otto milioni di dèi e spiriti che risiedono ovunque: in cielo e in terra, tra le montagne e nei corsi d’acqua, negli alberi, nelle rocce e anche nel focolare domestico. Non tutte queste creature sono benevole, anzi, i racconti popolari descrivono spesso figure pericolose come demoni (oni), fantasmi (yūrei) e animali dotati di poteri oscuri, tutti derivanti dalla mescolanza di elementi folcloristici buddhisti e taoisti integrati nel sistema di credenze autoctono dello Shintō. Molte leggende sono state poi importate dalla tradizione popolare cinese, insieme a creature immaginarie come i tengu, simili alle arpie occidentali, e Shōki, il Cacciatore di Demoni. In questo modo, esseri soprannaturali di varie origini hanno sempre circondato i Giapponesi ovunque essi fossero, tenendo un comportamento che rifletteva la condotta degli uomini nei loro confronti.
I protagonisti delle favole e delle leggende giapponesi sono spesso animali magici che racchiudono in sé un lato oscuro e uno compassionevole. Nella maggior parte dei casi, essi giocavano brutti scherzi agli uomini per imbrogliarli, trasformandosi facilmente in ciò che volevano, ma accadeva anche che cercassero di sdebitarsi con loro per qualche favore ricevuto. Le trasformazioni diventavano possibili quando questi animali vivevano una vita eccezionalmente lunga, oppure se il loro aspetto o il comportamento erano inusuali: nel primo caso, essi diventavano creature soprannaturali benevole, mentre nella seconda ipotesi tendevano a trasformarsi in spiriti maligni. I fantasmi, invece, nascevano dalle emozioni umane più potenti, e anche oggi si crede che quando una persona muore al culmine dell’ira o della gelosia, il suo spirito non trovi pace e ritorni ai luoghi e alle persone conosciute per trovare la sua vendetta. Generalmente, il defunto si trasforma in uno spirito che prende il nome di aramitama (spirito impuro), e deve essere purificato durante un periodo di trentatré anni, mediante rituali officiati appositamente a determinati intervalli di tempo. Esso diviene infine sorei, uno spirito ancestrale che si va ad unire agli antenati protettori della famiglia. Gli spiriti dei morti di recente, però, fluttuano tra i due livelli di esistenza, e possono diventare pericolosi se cercano di tornare nel mondo dei vivi in forma di fantasma, solitamente per rivendicare preghiere e offerte che gli sono state negate, apportando catastrofi e disgrazie di vario genere. Questo genere di racconti ha giocato un ruolo molto importante nel folclore giapponese in passato, ispirando numerose rappresentazioni di teatro nō e kabuki, ma anche opere di letteratura e d’arte, attraverso cui possiamo conoscere il modo in cui i Giapponesi interpretano gli avvenimenti soprannaturali, creando un proprio ordine logico che aiuti a sentirsi più al sicuro in un cosmo ostile.

HokusaiIn Giappone, le credenze sugli spiriti che abitano la natura sono sempre state fortementi presenti, soprattutto nei momenti di crisi sociale, anche se solo alcune di queste sopravvivono ancora, mentre altre sono state dimenticate quando non se ne è più avvertita la necessità. Sembra che lo Shintō originario non prevedesse rappresentazioni delle divinità, fino all’avvento del Buddhismo, che con la sua infinita varietà di icone contribuì anche alla creazione di un numero sempre crescente di opere d’arte con soggetti soprannaturali, tra cui gli spiriti inquieti dei morti. Nel Kojiki, si descriveva un universo diviso in tre parti: takama ga hara (Piana Celeste), la dimora degli dèi celesti, naka no kuni (Piana Centrale), dove vivevano gli dèi terrestri, e yomi no kuni, il mondo sotterraneo, regno dei defunti, un luogo nebuloso e impuro dove tutti, indistintamente, si dovevano recare alla morte, e che non comportava punizioni per i malvagi o ricompense per i buoni. Il mondo degli uomini era abitato da una miriade di spiriti che si mescolavano costantemente ai vivi, in forma visibile o meno, esercitando un potente influsso su di loro.

HokusaiCon l’introduzione del Buddhismo, però, venne acquisita anche una diversa interpretazione del cosmo, ripartito nel mondo dei vivi, quello dei defunti, che divenne l’inferno (jigoku), luogo di tortura e punizione governato dal Re Enma e dai suoi attendenti oni, e il paradiso dei Buddha, dove si poteva trovare la salvezza. Queste immagini si diffusero, mescolandosi ai temi del folclore locale in tutto il paese, e favorendo la nascita di nuovi miti ricavati anche dagli avvenimenti recenti, in cui l’immaginazione di cantastorie e artisti descriveva mostri e demoni utilizzandoli spesso per esorcizzare le paure scatenate da avvenimenti incomprensibili. Sotto l’impatto delle nozioni acquisite dal continente, la massa di spiriti senza forma che popolavano il mondo dei Giapponesi vennero classificati più precisamente in varie forme di demoni e mostri, che potevano anche essere controllati grazie a un sistema di incantesimi e formule magiche di origine per lo più buddhista o taoista.Le antiche tradizioni dello Shintō rimasero però come substrato. In passato, l’estetica dominava le arti e non permetteva di prendere in considerazione soggetti grotteschi, se non sporadicamente: prima del 646 e nel periodo Nara (646-794), si parlava delle gesta degli dèi Susanoo e Amaterasu; nell’epoca Heian (794-1185), la cultura dominante era quella di una corte raffinata, che attribuiva i fenomeni misteriosi agli spiriti vendicativi dei defunti o ai demoni delle malattie, che potevano manifestarsi in forme visibili, come il fulmine o udibili, come il tuono. Si diceva inoltre che persone ancora vive potessero divenire spettri per assassinare inconsciamente i rivali, soprattutto nel caso di morti violente o malattie gravi. Questa cultura si dissolse poi a favore dell’élite guerriera di Kamakura e Muromachi (1185-1573), creando un intervallo di tempo in cui furono prodotti alcuni rotoli dipinti con soggetti mostruosi, ma in seguito l’ascesa dell’estetica Zen tese a oscurare tali rappresentazioni artistiche. Tuttavia, le credenze sulle apparizioni di fantasmi e di animali magici continuarono a diffondersi, e a queste si aggiunsero le leggende dell’epoca Momoyama (1573-1603) sugli oggetti inanimati che trasformandosi in esseri viventi acquisivano grandi poteri. Gli oggetti molto antichi erano infatti frequentemente considerati una potenziale dimora di spiriti ostili, e venivano di conseguenza trattati con il massimo rispetto, oltre ad essere purificati alla fine dell’anno nella cerimonia del susuharai, rituale che rendeva inoffensivi gli attrezzi e gli utensili della casa.

L’interesse per il soprannaturale raggiunse il culmine durante il periodo Edo (1603-1868), soprattutto nel medio e tardo diciannovesimo secolo, probabilmente a causa dei grandi sconvolgimenti a livello sociale in corso. Si stava infatti affrontando l’apertura del paese dopo due secoli di isolamento, con il passaggio da una struttura feudale alla modernizzazione su modello occidentale, costellata da episodi molto violenti. Quest’epoca fu caratterizzata dalla morale molto repressiva dello shogunato Tokugawa sostenuto dall’etica confuciana, perciò le rappresentazioni del soprannaturale si diffusero soltanto nel momento in cui il governo entrò in crisi, verso la metà del diciannovesimo secolo. Vi si esprimeva l’angoscia che la popolazione provava, non sentendosi più al sicuro sotto una guida forte e determinata. La crisi si trascinò anche nel periodo Meiji (1868-1912), e la risposta degli artisti, portavoce dei cittadini, fu la stessa. Essa si manifestò attraverso la rappresentazione di mostri, demoni e fantasmi, soprattutto negli ukiyoe, nelle sculture e nei rotoli dipinti, riportando alla luce credenze sopite ma ancora fortemente presenti nella mente dei Giapponesi.

TenguLa modernizzazione su modello occidentale, infatti, non diminuì la popolarità e il fascino che il soprannaturale esercitava sulla popolazione che si focalizzò infine sui poteri della mente umana e sugli stretti legami tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti. Potremmo dunque dire che il soprannaturale abbia acquisito in Giappone, con l’andare del tempo, una funzione sociale, diventando il mezzo per ritrovare la propria identità dopo grandi stravolgimenti, quando le certezze cadono e non resta che rifugiarsi nelle antiche tradizioni. Nel Giappone contemporaneo, nonostante lo sviluppo tecnologico e il conseguente materialismo, il fascino delle leggende sul soprannaturale rimane, e non soltanto nelle aree rurali, dove tende comunque ad essere più forte, ma anche nei centri urbani, celebrato dai mass media. Anche le menti più razionali, infatti, non negano del tutto l’esistenza di creature bizzarre e pericolose, rinnovando le tradizioni del passato nella società industriale, dove ancora oggi gli oni, i tengu e i tanuki fanno saltuarie apparizioni.
Si continua dunque a credere in queste creature, cercando così di stabilire un modo di interpretare le origini della vita del proprio paese e della propria gente, distinguendo tra ciò che è umano e ciò che lo trascende, per comprendere meglio se stessi. Il fatto che i Giapponesi credano anche in dèi benevoli ha aumentato la loro fiducia nella vita, mentre il timore di una possibile punizione divina da parte degli spiriti degli antenati trascurati impedisce loro di violare le norme culturali. L’omissione di un solo individuo, infatti, può provocare a tutta la comunità gravi problemi come terremoti o tifoni, che da sempre si abbattono con ferocia su questo territorio. Dunque le immagini di demoni e fantasmi che incarnano i mali del mondo hanno continuato ad essere rielaborate e trasmesse in Giappone nel corso delle generazioni, attraverso il folclore, l’arte, il teatro e la letteratura. Questi ultimi costituiscono interessanti testimonianze dei cambiamenti nel background socioculturale giapponese nel susseguirsi dei periodi storici, ognuno con il suo bisogno di dare un ordine al caos, per combattere ansie e paure e riuscire a sopravvivere in questo mondo, creandosi una speciale protezione dal male a cui poter credere con fiducia.

Autore : Barbara Mafrin (sintesi di tesi di laurea)

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