Un grave fenomeno sociale: il suicidio

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DepressioneIl suicidio in Giappone è da sempre un grave problema sociale. E’ vero che negli ultimi anni il fenomeno è in costante discesa, ma i numeri continuano ad essere preoccupanti: non permettono di abbassare la guardia.

Nel 2013, le statistiche dicono che il numero di suicidi è stato di 27.283 (18.878 maschi e 8.469 femmine), con una diminuzione di 575 suicidi rispetto all’anno precedente. In pratica, nel 2013, ogni 20 minuti, nel Paese, qualcuno si è tolto la vita. Il picco di questa triste statistica, venne raggiunto nel 2003 con ben 34.427 suicidi. Negli ultimi quattro anni il dato è in costante discesa, probabilmente grazie alle misure adottate dalle autorità e anche grazie

La salute è di gran lunga il motivo principale che spinge a questo gesto estremo (13.680 suicidi); seguono poi, i problemi finanziari (4.636), i problemi sul lavoro (3.930), i problemi sentimentali (912) e, infinne, quelli scolastici (375).
Desta impressione notare che il suicidio resta la causa principale di morte nei giovani tra i 15 e i 34 anni. Fra i paesi del G8, solo la Russia ha un rapporto sucidi/numero di abitanti superiore al Giappone.

In Giappone i numeri non sarebbero così impietosi se non ci fosse quell’humus culturale così particolare su cui vale la pena di spendere qualche parola.
Nel paese del Sol Levante il suicidio ha radici storiche, culturali e religiose molto lontane nel tempo. Già attorno all’anno mille veniva praticato dagli eroi sconfitti, il seppuku, il suicidio rituale con il quale si uccidevano piantandosi nel ventre un pugnale, il “tantō”, o una spada, chiamata “wakizashi”.
Per il codice del guerriero, non poteva esistere la resa, la sconfitta, la prigionia: tutte cose che avrebbero portato disonore a se e alla propria famiglia. L’unico modo che aveva un samurai per uscire a testa alta da una sconfitta era quella di morire in maniera atroce dimostrando agli amici, alla famiglia e agli avversari, tutto il suo coraggio e onore.
Si diceva che il modo in cui si muore può dare valore alla propria vita e che la vera natura di un guerriero si rivela al momento della morte.
Questa usanza del seppuku è durata per secoli, fino alla Seconda Guerra Mondiale: l’ammiraglio Takijiro Onischi, dopo la resa del Giappone, si uccise mediante il seppuku.
Nel 1970 la stessa terribile auto-punizione venne scelta da Yukio Mishima, uno dei massimi scrittori giapponesi.

suicidio La società giapponese non ha mai condannato moralmente il suicidio, considerato un modo onorevole per lasciare questo mondo, una forma di riscatto personale. Inoltre qui, a differenza del mondo cristiano occidentale, la religione non esercita un formidabile freno sugli aspiranti suicidi. Il Cristianesimo considera il suicidio un gravissimo peccato contro Dio che, secondo la religione, è l’unico che può toglierci la vita. In Giappone, invece, sia lo Shintoismo, che il Buddismo, non condannano il suicidio; per il buddismo la morte è solo il passaggio da una forma all’altra di esistenza.

Molti, poi, puntano il dito contro i media che troppo spesso nei film, nei serial tv, nei drama, rappresenta il suicidio in un contesto romantico, quasi fosse un gesto nobile. Questo rischia di causare emulazione tra i giovani. E’ famoso il caso della cantante Yukiko Okada, giovane promessa della musica giapponese, che oltre ad essere una talentuosa ragazza, era anche molto affascinante. All’età di 18 anni, nel 1986, si uccise gettandosi dal tetto del Sun Music Building di Tokyo. Questo tragico fatto scatenò un’ondata di suicidi, tra i giovani, in tutto il Paese.

La società giapponese impone che tutti siano sorridenti e felici in pubblico: i problemi devono rimanere nascosti. La cronica mancanza di dialogo all’interno della famiglia giapponese, costringe molti depressi a tenersi tutta la negatività al proprio interno e, senza possibilità di poterla scaricare all’esterno, prima o poi la pressione diventa intollerabile e il suicidio diviene la soluzione più ragionevole.

Fino ad ora in Giappone il numero degli psicologi è stato troppo limitato per poter far fronte a questo grave problema ed inoltre sono insufficienti le strutture pubbliche di ascolto dove queste persone possano riunirsi, ascoltarsi a vicenda e sfogare tutta la propria disperazione.

Per combattere il fenomeno, bisognerebbe lavorare su più fronti: in primo luogo aumentare il corpo medico addetto alla cura di persone con disturbi mentali e creare strutture pubbliche di ascolto; Ma le misure non si possono certo limitare a qualche provvedimento legislativo; bisogna anche togliere l’alone di romanticismo che ancora circonda questo gesto, considerarlo – se non un peccato contro Dio – un modo completamente sbagliato di fuggire dai problemi.
Soprattutto sui giovani bisognerebbe lavorare combattendo il fenomeno del bullismo scolastico che è uno dei principali motivi di suicidio fra i giovani e i giovanissimi.

Pur con qualche miglioramento rispetto agli anni scorsi, il problema rimane molto grave; i punti su cui è possibile intervenire ci sono, e non sono pochi.

Autore : Cristiano Suriani

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