Uno dei padri del Giappone moderno: Sakamoto Ryōma

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Sakamoto Ryom
(Unknown author, Public domain, via Wikimedia Commons)

Ancora oggi, Sakamoto Ryōma è uno dei personaggi più amati nella Storia del Giappone. Nonostante abbia avuto una vita breve, la sua esistenza fu molto intensa e proficua. A buon ragione lo si può considerare uno dei padri del Giappone moderno. Morì giovane, assassinato ad appena 31 anni, ma le sue idee furono alla base della Restaurazione Meiji che, ironia della sorte, inizò a meno di mese dalla morte di avvenuta il 10 dicembre del 1867.

La sua famiglia fece la fortuna nella produzione e nel commercio del sake; con i soldi guadagnati, la famiglia acquistò il titolo di Gōshi, un termine che indica un samurai di basso rango.
Sakamoto Ryōma nacque il 3 gennaio 1831 a Kōchi, nella provincia del Tosa (l’attuale prefettura di Kōchi), nell’isola di Shikoku.

L’appartenenza ad una famiglia samurai, diciamo di seconda-terza fascia, procurò a Sakamoto diversi problemi: per questo motivo, nel suo breve periodo scolastico, venne spesso bullizzato da chi apparteneva a famiglie samurai di alto rango. A causa dello scarso interesse, abbandonò presto la carriera scolastica e si iscrisse ad una scuola di scherma e, in breve, si distinse per la sua abilità con la spada. Nel 1853, a 17 anni, ricevette dalla famiglia il permesso di recarsi ad Edo, l’attuale Tokyo, per perfezionare la sua abilità di spadaccino. Nella città di Edo si allenò con Chiba Sadakichi nella scuola Hokushin-ittō. L’anno successivo, in febbraio, assistette all’arrivo, nella baia di Edo, della flotta delle “Navi nere” del Commodoro Matthew C. Perry; il fatto lo impressionò e lo sconvolse: il suo sentimento era quello di ributtare in mare i “barbari” venuti da Occidente.

Sakamoto RyomaNel 1858, una volta terminato il periodo di perfezionamento, Sakamoto ritornò nel Tosa dove, nel 1862, aderì al Partito Lealista “Kinnoto”, filo-imperiale, fondato dal suo amico Takechi Hanpeita.
Erano quelli, anni di forte contrasto tra due concetti diversi di vedere il futuro del Giappone: chi si dichiarava filo-imperiale, o lealista, dietro lo slogan “Sonnō jōi” (Riverire l’imperatore, espellere i barbari), sognava di poter continuare l’isolamento e di respingere le avance occidentali per una apertura al mondo esterno; a questi si opponevano i fedeli allo shogun che, riconoscendo l’ineluttabilità e, più pragmaticamente, la grande inferiorità bellica nei confronti delle potenze occidentali, erano pronti ad aprire il Giappone alle navi commerciali dei cosidetti “barbari”. Sakamoto si schierò convintamente con i lealisti.

Il dominio del Tosa era alleato dello shogun e il clan dei Yamauchi mal sopportava il Partito Lealista. In seguito all’assassinio di Yoshida Toyo, un samurai di alto rango del Tosa, Takechi Hanpeita venne arrestato e costretto al seppuku. Sakamoto, estraneo comunque all’evento criminoso, in quel periodo, aveva già lasciato il Tosa e si trovava di nuovo ad Edo. Pur aderendo al Kinnoto, Sakamoto entrò in contrasto con l’amico Takechi: entrambi volevano una rivoluzione filo-imperiale, ma Sakamoto, rispetto all’amico, aveva una visione più larga, che comprendeva l’intero Giappone: di qui la decisione di lasciare il Tosa.
A quel tempo era regola che nessuno potesse lasciare il proprio dominio senza autorizzazione; Sakamoto Ryoma lasciò il Tosa senza regolare permesso e quindi divenne un rōnin, un samurai senza padrone.

Ad Edo Sakamoto prese contatto con elementi anti-shogunato e pianificò l’assassinio di un noto personaggio del governo Tokugawa: Katsu Kaishū.
Kaishū era, all’epoca, un alto ufficiale con il compito di occidentalizzare, potenziare e ammodernare le forze armate e, in particolare, la marina militare. Nel 1860 era a bordo della nave Kanrin-maru che aveva il compito di scortare la delegazione nipponica fino a San Francisco per la rattifica del Trattato di Harris. A seguito del viaggio rimase negli Stati Uniti vari mesi, cosa che gli permise di studiare la società e l’industria americana.

Il progetto di assassinio non andò in porto e, anzi, Katsu convinse Sakamoto che il Giappone non aveva nulla da guadagnare nell’ostinarsi a rimanere isolato; per la propria salvezza, il Giappone doveva affidarsi ad un esercito potente e moderno; solo il ricorso alla tecnologia occidentale avrebbe pernesso al Giappone di svilupparsi velocemente e di fare fronte, anche militarmente, alle minacce che venivano dall’esterno. Katsu, riconoscendo le grandi doti del giovane Sakamoto, riuscì a convolgerlo nella creazione di una potente flotta navale. Nel 1864 Sakamoto Ryōma entrò nella nascente Accademia Navale di Kobe che Katsu riuscì a fondare dopo l’autorizzazione concessa dallo Shogun.
Entrambi, Sakamoto e Katsu, pur rispettandosi, rimasero comunque su fronti opposti.
L’Accademia avrebbe avuto però una vita breve: le autorità shogunali divennero sospettose per l’alto numero di allievi con idee lealiste, come Sakamoto. La scuola per ufficiali di marina venne chiesa nel 1865 su ordine dello Shogun.

Facciamo qualche passo indietro.
Il 21 ottobre del 1600, si svolse, sulla piana di Sekigahara, forse la battaglia più famosa della Storia del Giappone; una battaglia che cambiò radicalmente la Storia del Paese. Duecentomila soldati, divisi tra l’esercito di Tokugawa Ieyasu e quello dei fedeli del defunto Generale Toyotomi Hideyoshi, si affrontarono in questo scontro epocale. Ne uscì vincitore Tokuguawa che, di lì a qualche anno, diede il via alla dinastia di shogun che, per due secoli e mezzo, avrebbe tenuto in pugno le redini del Paese.
Tra gli sconfitti ci furono due clan già allora molto potenti: il clan degli Shimazu e quello dei Mori.
A causa di uno sgarbo subito dal Generale Ishida Matsunari, gli Shimazu, nel pieno della battaglia, non intervennero a dare man forte ai filo-Toyotomi. Sul finire dello scontro, il contingente di 1.500 uomini, guidato da Yoshihiro Shimazu, venne circondato da 30.000 soldati di Tokugawa; con un gesto di grande eroismo, gli Shimazu ruppero l’accerchiamento e guadagnarono la via di ritorno al loro feudo nel Satsuma.
Il vincitore, Tokugawa, essendo venuto a conoscenza del comportamento degli Shimazu, non li punì, come invece fece con gli altri daimyo alleati del clan Toyotomi: gli Shimazu conservarono il loro dominio del Satsuma (l’ordierna
prefettura di Kagoshima, nel sud dell’isola del Kyushu).

Il Satsuma, dopo il dominio del Kaga, era il feudo più ricco di tutto il Giappone. Le sua ricchezza era principalmente dovuta al monopolio del commercio con la Cina ottenuto grazie alla conquista del regno delle isole Ryukyu. Il feudo del Satsuma, durante il periodo di Edo (1603 – 1858), per merito della sua ricchezza, potenza e lontananza dalla capitale del bakufu, godette di una larga autonomia. Il dominio fu sempre sostenitore, anche se non molto convinto, dello shogunato Tokugawa.
Durante il bakumatsu (1853 – 1868), il periodo finale dello shogunato Tokugawa, gli Shimazu, pur essendo nel campo dello shogun, cercarono un pacifico accordo tra l’Imperatore e i Tokugawa; ma il loro appoggio al bakufu era sempre più flebile e quando lo Shogun ordinò al Satsuma di guidare una seconda spedizione punitiva contro il Chōshū (1866), il clan degli Shimazu decise di saltare il fossato e di passare quindi con i lealisti filo-imperiali.

Sakamoto RyomaIl clan Mōri, durante il periodo Sengoku (1467 – 1603) aveva la sua sede nella provincia di Aki. Durante il burrascoso periodo delle lotti faudali, Mōri Motonari si concquistò una notevole fama; il successore Mōri Terumoto stabilì una forte alleanza con il Generale Toyotomi Hideyoshi; l’alleanza proseguì anche dopo la morte del Generale, fino alla battaglia di Sekigahara. Mōri Terumoto, essendo il più potente daimyo nelle file dell’armata di Ishida, venne nominato comandante dell’esercito occidentale.
Il sostanziale tradimento del clan Mōri, contribuì alla vittoria di Tokugawa Ieyasu. Il futuro shogun, però, non premiò il comportamento dei Mōri che, anzi, vennero puniti: dovettero lasciare l’Aki per la vicina provincia del Nagata, o Chōshū, e le ricchezze vennero ridotte da 1.200.000 a 369.000 koku. Questo tradimento, il clan Mōri, non lo dimenticò mai.
Durante il bakumatsu, il dominio del Chōshū fu tra i più accesi avversari dello shogunato Tokugawa nella sua sfida con l’Imperatore. Nell’estate del 1864 il Chōshū si mise alla testa di un tentativo di prendere, con la forza, il Palazzo Imperiale per imporre il Sonnō jōi e la supremazia imperiale; la rivolta venne sedata nel sangue. Nel settembre di quello stesso anno il bakufu decise per una spedizione punitiva nei confronti del Chōshū; al comando della spedizione punitiva venne posto un vassallo del Satsuma: Saigo Takamori. Il Satsuma già allora cominciava a vacillare nella sua fedeltà allo shogun; Saigo riuscì ad evitare lo scontro armato, e in cambio ottenne il seppuku dei leader della rivolta.
L’anno successivo lo Shogun Tokugawa annunciò una seconda spedizione punitiva, ma, questa volta, il dominio del Satsuma rifiutò di prendervi parte. La spedizione punitiva finirà poi in una disfatta per lo shogunato.

La creazione dell’alleanza tra il Satsuma e il Chōshū, detta “Alleanza Satchō”, fu uno dei maggiori successi politici di Sakamoto Ryōma. L’opera di mediazione, di Sakamoto, tra i leader dei due potenti domini portò, nel 1866. ad un’allenza che si rivelerà letale per lo shogunato.
A stipulare l’alleanza furono tre personaggi che poi avrebbero ricoperto ruoli chiave durante il Periodo Meiji: Saigō Takamori e Ōkubo Toshimichi per il Satsuma, Kido Takayoshi per il Chōshū. Kido ebbe il compito di redigere le clausole dell’alleanza che poi ebbero il benestare di Sakamoto Ryōma.

Passo successivo fu l’ammodernamento dell’esercito e della marina del Chōshū che, non avendo contatti con l’Occidente, dovette fare affidamento al Satsuma che, invece, aveva un solido contatto commerciale con la Gran Bretagna. Volano di questa modernizzazione fu la Kaientai, o Kameyama Shachū, una società mercantile fondata, a Nagasaki nel 1865, da Sakamoto. La Kaientai acquistava navi militari dalla Gran Bretagna, per conto del Satsuma; le navi poi venivano girate al Chōshū.
Questo ammordenamento fu essenziale per la vittoria del Chōshū contro la seconda spedizione punitiva organizzata dal bakufu nel settembre del 1866.

Sakamoto Ryōma era essenzialmente un democratico e un pacifista: era convinto, ad esempio, che il potere dovesse essere esercitato dal popolo attraverso un organo rappresentativo. Credeva, inoltre, che il Giappone dovesse ammodernizzarsi e rafforzarsi, nelle sue strutture democratiche e militari, per poter sostenere le nuove sfide e i nuovi rapporti con le potenze occidentali.

Nel 1867 la situazione tra le due fazioni, shogunato e imperiali, era al limite della rottura: una guerra civile era pericolosamente dietro l’angolo. Dopo la vittoria del Chōshū, Sakamoto venne richiamato nel Tosa dove venne accolto con grandi onori; il dominio del Tosa non aveva perso le speranze di un ricomponimento pacifico che comunque prevedeva il potere nelle mani dell’imperatore: si voleva evitare un bagno di sangue.
Sakamoto Ryōma, insieme ad un ufficiale del Tosa, Gotō Shōjirō, elaborò un documento che si potrebbe considerare come la fonte di ispirazione per la futura Restaurazione Meiji e per la Costituzione del 1889: il “Piano degli Otto Punti”

1) Il potere politico dovrà essere rimesso nelle mani della Corte Imperiale e tutti i decreti dovranno essere
emanati dalla Corte
2) Verranno create sia una Camera Legislativa Bassa che una Camera Alta; la politica del governo dovrà
essere decisa da questo corpo legislativo
3) “Uomini abili” degli ex daimyo, nobili e la popolazione in generale saranno nominati consiglieri. I
tradizionali posti di potere che esistevano durante il sistema degli han, verranno aboliti.
4) La politica estera sarà condottia in conformità con i regolamenti concordati sulla base di un
consenso generale
5) Regole e regolamenti creati durante il periodo feudale del Giappone sarannoo aboliti e sostituiti da
un nuovo moderno codice di leggi
6) Le forze navali saranno potenziate
7) Verrà creata una Guardia Imperiale con lo scopo di difendere la capitale
8) Il valore delle merci e dell’argento sarà allineato con i valori in vigore nei Paesi esteri

Come si vede, molti di questi punti verranno poi adottati dalla Restaurazione Meiji: un sistema bicamerale eletto dal popolo, l’esistenza di una Costituzione come un corpus di leggi su cui fondare un nuovo Paese moderno.
Naturalmente, azione propedeutica, era il passaggio di potere dalle mani dello shogun a quelle della Corte Imperiale.
Il documento venne presentato al daimyo del Tosa, Yamauchi Toyoshige, il quale, a sua volta, lo mostrò allo Shogun Tokugawa Yoshinobu. Yoshinobu, riconoscendo il valore degli otto punti ed essendo d’accordo sulla necessità per il Giappone di rafforzarsi con delle ormai inevitabili riforme democratiche, decise di rassegnare le dimissioni, nel novembre 1867, anche per evitare una sempre più probabile guerra civile: fu la fine dello shogunato Tokugawa che, per due secoli e mezzo, aveva governato sul Paese.

Purtroppo Sakamoto non visse abbastanza per vedere i frutti del suo lavoro. Pochi giorni dopo le dimissioni dell’ultimo shogun Tokugawa, mentre era al Teradaya Inn di Kyoto, in compagnia dell’amico, Nakaoka Shintarō, venne aggredito da un commando di assassini. Le ferite riportate provocarono la morte di Sakamoto e Shintarō; non si seppe mai chi materialmente portò a termine l’omicidio.
Inizialmente si pensò ad una vendetta del Shinsengumi, un corpo di polizia pro-shogun; nel 1870, un altro organo simpatizzante per lo shogunato, il Mimawarigumi, si autoaccusò dell’assassinio.

Tomba Sakamoto
Tomba di Sakamoto


Sakamoto Ryōma, come ricordato, nonostante fosse morto giovane, riuscì ad entrare nell’Olimpo dei persoaggi che fecero la Storia del Giappone. Lasciò in eredità una vasta raccolta epistolare dalla quale è stato possibile riscostruire e conoscere più approfonditamente il suo pensiero. Nelle missive, ad esempio, trattava dei più svariati argomenti, segno che i suoi interessi non erano limitati alla sola politica; ma, naturalmente, è il suo pensiero politico quello che ha consegnato Sakamoto alla Storia.
Sakamoto Ryōma odiava i burocrati che considerava nefasti per il Giappone; sognava un Giappone moderno, unito e forte, dove tutti i cittadini fossero uguali e pronti a prendere in mano le redini del governo. Già allora prefigurava la presenza di un Parlamento tramite il quale il popolo poteva decidere la politica nazionale.
Sapeva che il Giappone, per poter diventare forte e ricco, aveva bisogno della tecnologia straniera per ammodernizzare le proprie strutture e il proprio esercito; ma questo ammodernamento non doveva andare a scapito dei valori tradizionali giapponesi: questo pensiero si ripercosse anche nel suo modo di vestire dove, a vestiti tradizionali, come il kimono, abbinava elementi occidentali come le scarpe che riteneva più comode di quelle giapponesi.

Meno di un mese dopo la sua morte, il 3 gennaio 1868, un Colpo di Stato portò alla restaurazione del potere imperiale e, quindi, all’inizio della Restaurazione Meiji.
Nell’aprile di quello stesso anno, un anno fondamentale per la Storia del Giappone, venne promulgato il Giuramento dei Cinque Articoli, un documento che enunciava le linee fondamentali del nuovo governo Meiji. Questa Carta riprendeva, chiaramente, gli otto punti programmatici stilati da Sakamoto Ryōma.

Autore: Cristiano Suriani

Fonti:
Sakamoto Ryōma: The Samurai Who Dreamed of a Modern Japan
Sakamoto, the man and the myth

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