La leggenda di Saitō Musashibō Benkei

Condividi
Benkei colpisce Yoshitsune alla barriera di Ataka
Utagawa Kuniyoshi (1797-1861), Public domain, da Wikimedia Commons

Il teatro Noh, il teatro Kabuki e le stampe ukiyo-e, che rappresentano alcune delle grandi tradizioni culturali giapponesi, spesso si dedicano alla narrazione di storie intense e gesta epiche ambientate secoli fa. Tra queste, una delle più celebri e frequentemente rappresentate riguarda il legame tra Minamoto Yoshitsune e il monaco guerriero Saitō Musashibō Benkei. Questa epica e tragica vicenda è ambientata in un periodo di transizione tra l’era Heian (794-1185) e il successivo periodo di Kamakura (1185-1333).
La lotta tra i clan Minamoto e Taira raggiunse l’apice con la guerra di Genpei, durata cinque anni (1180-1185), che determinò la vittoria dei Minamoto e segnò la fine dell’era Heian, portando alla definitiva affermazione della classe guerriera dei samurai. In questo contesto si colloca l’epoca delle gesta di Yoshitsune, figura chiave nella vittoria del clan Minamoto, e del suo leale compagno Benkei. Quest’ultimo, grazie ai valori di fedeltà e coraggio che incarnava, ha avuto un grande seguito nella cultura popolare, fino ai nostri giorni.
Benkei, come molte figure eroiche del periodo pre-medievale, è avvolto da un alone di mito, e distinguere la leggenda dalla storia risulta un compito arduo, per non dire impossibile.
Prima di esaminare più da vicino la figura di Saitō Musashibō Benkei, è necessario comprendere chi fossero i sōhei, i monaci-guerrieri.

Sōhei, l’ala militare del buddismo

Nel X secolo, ancora immersi nel periodo Heian, si assistette alla comparsa di un nuovo attore in grado di influenzare, in vario modo, la storia del Giappone: il monaco-guerriero. I principali monasteri buddisti, come Kōfuku-ji, Tōdai-ji, Enryaku-ji, Mii-dera, per citarne alcuni, accumulando potere e ricchezza, sentirono la necessità di difendersi, talvolta anche mediante l’uso della forza, contro rivali monastici, briganti o persino contro richieste indesiderate da parte di chi amministrava il Paese.
Gli eserciti di sōhei erano costituiti da monaci di basso rango, seguaci del tempio e servitori che lavoravano sulle terre del monastero. Le ragioni per cui un tempio decideva di impiegare la forza erano molteplici. Perfino una semplice disputa tra monaci di due templi rivali poteva degenerare in scontri. Le contese riguardo alle proprietà erano comuni, così come il tentativo da parte dei monasteri più grandi di controllare quelli più piccoli. Anche una nomina ecclesiastica indesiderata poteva scatenare la mobilitazione dei monaci-guerrieri. Curiosamente, tuttavia, le dispute dottrinali tra un tempio e un altro raramente sfociavano in scontri armati.

Il primo incidente che vide coinvolte le figure dei monaci-guerrieri risale al 949 d.C., quando cinquantasei monaci del tempio di Tōdai-ji si riunirono presso la residenza di un ufficiale a Kyoto per protestare contro una nomina ritenuta sgradita. Durante la rissa che ne scaturì, diversi monaci persero la vita. Nel 969, una disputa relativa al possesso di alcune terre portò a uno scontro tra i templi di Tōdai-ji e Kōfuku-ji. Tuttavia, spesso i templi preferivano ricorrere all’intimidazione anziché alla violenza.
Una tattica peculiare adottata dai monaci del monte Hiei, tradizionalmente considerato il luogo delle divinità protettrici della capitale Kyoto, consisteva nello scendere in città portando sulle spalle i mikoshi (sacri palanchini) dei sette principali templi del monte Hiei. Questo gesto generava sconcerto nella popolazione che temeva di provocare la collera degli dei se uno dei portatori fosse stato maltrattato. Se la protesta veniva ignorata, i mikoshi venivano posati a terra all’interno di qualche edificio appartenente alla potente famiglia Fujiwara. Questo atto poteva scatenare incidenti poiché nessun altro, se non i monaci, sapeva come maneggiare tali oggetti sacri.

Gli scontri tra gli eserciti di sōhei, a partire dal X secolo, registrarono un progressivo aumento di intensità. Fino alla metà del XII secolo, si limitavano a conflitti interni nel buddismo o, al massimo, a scontri con i Fujiwara, ad esempio, per qualche nomina ecclesiastica malvista. Successivamente, i sōhei compirono un notevole salto di qualità, inserendosi direttamente nei conflitti tra i clan. Sia i Minamoto che i Taira, durante la loro lotta culminata nella guerra Genpei (1180 – 1185), contavano su alleanze con i sōhei.
L’epopea dei monaci-guerrieri perdurò per diversi secoli e giunse al termine nel XVI secolo quando furono definitivamente sconfitti da Oda Nobunaga. Fra i monaci-guerrieri, Saitō Musashibō Benkei è probabilmente il più noto.

L’infanzia di un bambino-demone

Raccontare la storia umana di Benkei è un compito tutt’altro che agevole. È uno di quei personaggi avvolti nella leggenda, dove distinguere tra realtà e mito diventa arduo. Nel corso dei secoli, molte leggende sono state aggiunte per amplificare il fascino del protagonista, celebrato in numerose opere del teatro Noh e del teatro Kabuki. La presunta nascita di Benkei risalirebbe all’antica provincia di Kii, corrispondente all’attuale prefettura di Wakayama, nel 1155. Suo padre ricopriva il ruolo di capo monaco in uno dei templi locali, mentre la madre era figlia di un fabbro. Una leggenda tramanda che Benkei potrebbe addirittura essere il figlio di un dio.
Il suo carattere turbolento e l’aspetto poco rassicurante, con denti aguzzi, capelli crespi e una statura superiore alla media, gli valsero il soprannome di Oniwaka, ovvero “bambino orco”. La sua presenza aveva un’aura quasi demoniaca. I genitori, preoccupati per lo sviluppo del figlio – secondo una leggenda il padre addirittura tentò di ucciderlo credendolo un demone -, decisero di mandarlo in un tempio. La speranza era che i monaci potessero indirizzarlo sulla retta via. Il tempio scelto per il suo addestramento fu quello di Enryaku-ji, sul monte Hiei; sebbene Benkei sembrasse abile nel memorizzare i sutra, il suo carattere violento spaventò gli altri monaci e generò disperazione tra i superiori.

A diciassette anni, anche dal punto di vista fisico, Benkei incuteva timore: dotato di una straordinaria forza e un’imponente altezza di due metri, emergeva come un gigante rispetto alla media giapponese. Il suo carattere irrequieto e ribelle lo poneva costantemente in conflitto con i superiori e gli altri monaci. Alla fine, Benkei lasciò Enryaku-ji per intraprendere la via di un yamabushi. I yamabushi erano monaci-guerrieri che avevano scelto la vita ascetica tra le montagne. Spesso solitari, vivevano nei boschi circondati da un alone di mistero poiché si diceva fossero maestri nell’uso delle armi, invincibili e dotati di poteri sovrannaturali. La loro arma prediletta, come per i sōhei, era il naginata, un’asta con una lama ricurva all’estremità. In molte stampe ukiyo-e, Benkei viene raffigurato mentre impugna abilmente il naginata.

Yoshitsune e Benkei sul ponte Goyo
Yoshifuji, Public domain, da Wikimedia Commons

Benkei e l’incontro con Yoshitsune sul ponte Goyo

Una delle tante leggende legate a Benkei narra del giorno in cui il monaco si rivolse ad un armaiolo per ottenere un’armatura. L’armaiolo acconsentì, ma in cambio chiese 1000 spade. Benkei decise quindi di appostarsi vicino al ponte Goyo, sfidando a duello ogni samurai di passaggio. Dopo averli sconfitti, si impossessava delle loro spade. Ne aveva raccolte 999 quando, un giorno, sul ponte apparve un giovane: Minamoto Yoshitsune. Benkei sfidò anche lui,, ma questa volta uscì sconfitto. Nonostante la sua imponente fisicità, Benkei venne superato dall’agilità e dall’abilità con la spada del giovane avversario, il quale si dice fosse stato addestrato dai Tengu, creature mitologiche. Benkei, riconoscendo la superiorità di Yoshitsune, giurò fedeltà a lui.
Da quel momento si formò una delle coppie più celebri nella storia del Giappone: Minamoto Yoshitsune, uno dei comandanti più valorosi del Giappone pre-medievale, e il leale Benkei. Yoshitsune, veloce e agile, maestro nell’arte della spada, e Benkei, massiccio, alto e abile con il naginata. Insieme vissero molte avventure e parteciparono a scontri armati, come la guerra Genpei.

Nato nel 1159, Minamoto Yoshitsune emerge come uno dei personaggi più rinomati del periodo che ha segnato la fine dell’era Heian. Eroe dalla figura romantica e tragica, dotato di indiscusse qualità militari, Yoshitsune è diventato il protagonista prediletto in numerose opere teatrali nei secoli successivi. Le sue vittorie, soprattutto nella celebre battaglia di Dan-no-Ura, segnarono la conclusione del dominio dei Taira e l’ascesa dei Minamoto, che stabilirono a Kamakura, nella piana del Kanto, il primo bakufu (governo della tenda) e la prima dinastia shogunale.
La guerra vittoriosa contro i Taira venne condotta dai tre fratelli Minamoto: Yoritomo, che poi divenne il primo shogun nel 1192, Yoshitsune e Noriyori. I tre vinsero anche la ribellione del loro cugino Yoshinaka. La corte imperiale di Kyoto riempì di onori Yoshitsune, il più valoroso e dotato dei tre. La gelosia però minò i rapporti tra i due fratelli: Yoritomo, non ricevendo gli stessi onori imperiali, iniziò a rivolgere al fratello una serie di accuse pretestuose, alimentando una crescente ostilità tra di loro, fino ad ordinare il suo assassinio. Yoshitsune e il fido Benkei si trovarono costretti a fuggire e a nascondersi per sfuggire all’ira di Yoritomo.

Yoshitsune e Benkei: l’ultimo atto

I nostri due eroi furono costretti alla fuga e a nascondersi per sfuggire ai seguaci di Yoritomo.
Con l’intento di raggiungere il nord del Paese e trovare rifugio presso il ramo settentrionale del clan dei Fujiwara, i fuggitivi dovettero superare numerosi ostacoli. Su ordine di Yoritomo, i confini tra le province vennero sigillati e istituiti posti di blocco per identificare tutti i viaggiatori e catturare Yoshitsune. Uno degli episodi più noti avvenne al posto di confine di Ataka.
Le guardie avevano l’ordine di scrutare ogni viandante. I membri del gruppo, tra cui i due fuggitivi, erano travestiti da monaci in missione di raccolta fondi per la ristrutturazione di un tempio (Todai-ji). Benkei assunse il ruolo di capo del gruppo, mentre Yoshitsune era il servo portatore di bagagli. Benkei finse di leggere l’elenco dei donatori e questo convinse le guardie a lasciarli passare; una guardia, sospettosa, notò la presenza di una persona somigliante a Yoshitsune. A questo punto intervenne provvidenzialmente Benkei che percosse Yoshitsune, con un bastone, per una sua presunta imprudenza. Questo gesto riuscì ad ingannare definitivamente le guardie: era impensabile che un servo potesse percuotere il suo padrone. In un’altra versione della storia, il comandante delle guardie, pur sospettando l’inganno, lasciò passare il gruppo per la simpatia che nutriva per il triste destino di Yoshitsune.

Dopo aver vagato per il Paese, Yoshitsune, sempre accompagnato dal fedele Benkei e da alcuni seguaci, trovò rifugio presso un alleato della famiglia Minamoto: Fujiwara Hidehira, del clan settentrionale dei Fujiwara, a Hiraizumi, nell’attuale prefettura di Iwate. I fuggitivi giunsero nella primavera del 1187; nel novembre dello stesso anno, Hidehira morì, ma non prima di assicurarsi che i suoi figli avrebbero continuao a proteggere Yoshitsune e i suoi compagni. Il nuovo capo clan, Yasuhira, sotto pressione da parte di Yoritomo – che evidentemente sospettava qualcosa – tradì la promessa, fatta al padre, e attaccò Yoshitsune. Senza speranza, il gruppo si rifugiò nella fortezza di Koromogawa. Qui, Yoshitsune, protetto da Benkei e dai pochi seguaci rimastigli, si ritirò nella stanza più interna e commise seppuku.
Benkei, grazie alla sua abilità con il naginata e alla sua imponente statura, riuscì a trattenere l’intero esercito nemico. Pur colpito da numerose frecce, il monaco-guerriero rimase in piedi, difendendo con ostinazione l’ingresso alla fortezza. Gli attaccanti si fermarono, intimoriti da questo gigante che sembrava invincibile. Alla fine, uno degli assalitori, più coraggioso degli altri, si avvicinò a Benkei e si rese conto che era morto, si sosteneva in piedi solo grazie all’asta del naginata. Questa leggenda della “morte in piedi” di Benkei è una delle più celebri tra quelle che avvolgono la vita del monaco-guerriero.
La tomba di Saitō Musashibō Benkei si trova ad Hiraizumi, nella prefettura di Iwate.

Storia o leggenda ?

Tomba di Benkei a Hiraizumi

Le leggende che circondano il personaggio di Benkei sono numerose e variegate. Una di esse, curiosamente, è persino legata alla nascita dei famosi dolci giapponesi dorayaki. Si racconta che dopo aver abbandonato la stalla di un contadino, dove si era nascosto, Benkei si rese conto di aver dimenticato il suo gong (“Dora” in giapponese). Il contadino utilizzò questo gong per friggere (“yaki” in giapponese) le sue frittelle, dando così origine ai deliziosi pancake giapponesi.

La guerra tra i clan Taira e Minamoto, la lotta fratricida tra Yoritomo e Yoshitsune, e le gesta del monaco-guerriero Benkei sono racconti molto amati, sfruttati dalla letteratura, dal teatro noh e kabuki. Numerose stampe ukiyo-e riprendono le sue leggendarie imprese. Benkei appare anche in manga, anime, opere televisive e cinematografiche. Akira Kurosawa, ad esempio, ha tratto ispirazione dall’episodio del posto di controllo di Ataka per il suo film del 1945 “Gli uomini che mettono il piede sulla coda della tigre”.

Se la figura di Yoshitsune è storicamente documentata e il suo conflitto con il fratello Yoritomo è un fatto storico, per quanto riguarda il monaco-guerriero Benkei dobbiamo affidarci a racconti tramandati oralmente prima di essere trascritti in opere pubblicate secoli dopo gli eventi. La reale storia di Saitō Musashibō Benkei si mescola con la fantasia e la leggenda in misura tale che è difficile determinare cosa sia vero e cosa sia frutto dell’immaginazione. In effetti, alcuni possono perfino dubitare che Benkei sia mai esistito.

Autore: Cristiano Suriani

Fonti consultate:

The Samurai: A Military History di Stephen Turnbull
Benkei Musashibo – The Warrior Monk pubblicato su www.artelino.com
Benkei: The Warrior Monk Who Died Standing pubblicato su unseen.japan
La Storia segreta dei Samurai di Jonathan Clements