Navi giapponesi nel Mediterraneo 1917-1918

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Incrociatore Akashi
(Autore sconosciuto. Public domain, via Wikimedia Commons)

Della partecipazione del Giappone alla Prima Guerra Mondiale, non si sa molto. Di solito i manuali dedicano poche pagine, se non poche righe alla partecipazione del Giappone al conflitto: parzialmente a ragione. Il contributo nipponico in vite umane fu irrisorio, specialmente se confrontato alle perdite mostruose subite da Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia. Appena 415, e tutti militari, furono i caduti.
Però, il Giappone, fece la sua parte: neutralizzò la Germania nei suoi possedimenti nell’Oceano Pacifico, mandò le sue flotte nell’Oceano Indiano, per salvaguardare le rotte commerciali, e mandò una piccola flotta nel Mar Mediterraneo con lo scopo di proteggere le navi Alleate dagli attacchi dei sottomarini tedeschi e austriaci.
Forse quest’ultimo punto è quello che sorprende di più: cosa ci facevano navi da guerra con bandiera giapponese nel Mar Mediterraneo ? Cosa significava la loro presenza ? Quale fu il loro apporto al conflitto ? A tutto cercheremo di dare una risposta in quest’articolo.

MediterraneoNel 1902 Giappone e Gran Bretagna stipularono un importante trattato di amicizia. L’accordo, tra le altre cose, prevedeva l’impegno – non l’obbligo, si badi bene – di ciascuno dei due contraenti di entrare in guerra in caso che l’alleato fosse coinvolto in eventi bellici. La Gran Bretagna aveva molti interessi, commerciali e miitari, nell’area del Pacifico, ed era preoccupata che la Russia potesse interferire sulle sue rotte commerciali; data la lontananza della zona, e quindi la difficoltà ad intervenire tempestivamente, aveva bisogno di un alleato che potesse proteggere più efficacemente i suoi interessi in quell’area del mondo. Il Giappone disponeva già di una potente flotta che si apprestava a divenire padrona incontrastata del Pacifico: all’inizio della Prima Guerra Mondiale, la flotta imperiale poteva già vantare 21 corazzate e 29 incrociatori.

Il 28 luglio 1914 scoppiò il primo conflitto mondiale. Il Giappone doveva scegliere da che parte stare, con chi schierarsi. In ambienti militari, governativi e nella stessa Corte Imperiale, le simpatie per la Germania non mancavano. Addirittura l’Imperatore Taisho era un ammiratore del Kaiser Guglielmo II. L’organizzazione del nuovo esercito imperiale giapponese, era stata modellata sull’esempio di quella dell’esercito prussiano. La Germania aveva contribuito, in vari campi (filosofia, medicina, educazione, esercito), alla nascita del Giappone moderno; ma, dall’altra parte, c’era una alleanza da rispettare e, per un Paese, come il Giappone, che ancora era alla ricerca di un pieno riconoscimento internazionale, rompere unilateralmente un trattato di alleanza, non era il miglior biglietto da visita. Il governo, quindi, decise di rispettare le alleanze.

L’alleanza con la Gran Bretagna, lo ricordiamo, non prevedeva l’automatica entrata in guerra dell’alleato, nel caso uno dei due fosse coinvolto in eventi bellici.
Nei primi giorni dell’agosto 1914, ci fu un frenetico scambio di messaggi tra il Primo Ministro britannico, Sir Edward Grey, e il ministro degli esteri del governo giapponese, Kato Takaaki. Il 4 agosto, su richiesta britannica, il Giappone dichiarò la neutralità. C’è da dire che molti, per una ragione o per l’altra, non vedevano di buon occhio un conivolgimento del Giappone nel conflitto: paesi come Stati Uniti, Australia (dominio britannico) e Olanda, temevano che il Giappone
potesse approfittare della situazione per espandersi territorialmente ai danni della Cina. La destabilizzazione della Cina avrebbe portato a serie conseguenze nei commerci dei paesi occidentali con l’Asia orientale.
Sir Edward GreyIl 7 dello stesso mese, Grey cambiò idea e comunicò al ministro Kato che la volontà britannica era quella che il Giappone contribuisse a distruggere la flotta tedesca che, nell’Oceano Pacifico, era una minaccia ai commerci britannici. Di conseguenza, il giorno successivo, il Giappone lanciò l’ultimatum alla Germania. Il 10 agosto Sir Grey cambiò ancora idea, ma ormai l’ultimatum era stato lanciato e il governo giapponese, che aveva già ottenuto il via libera dall’Imperatore Taisho, non aveva nessuna intenzione di ritirarlo.
A questo punto, alle forze dell’Intesa, e alla Gran Bretagna in particolare, non restò che chiedere al Giappone di non estendere troppo il suo teatro d’azione, anche per tranquillizare i paesi dell’area.

Nonostante questa limitazione geografica, la Gran Bretagna, a partire dal 2 settembre del 1914, cominciò a chiedere al Giappone l’invio di una squadra navale nel mar Mediterraneo con l’obbiettivo di bloccare i Dardanelli e contrastare le navi turche, tedesche e austriache. Il 9 settembre, per bocca del ministro degli esteri Kato, cominciò il primo, di una lunga serie di risposte negative circa la richiesta britannica di assistenza navale in acque europee.
La risposta nipponica fu che il principale obbiettivo della marina era quello di proteggere la Madrepatria e non si poteva indebolire questa difesa. Inoltre una missione così lontana avrebbe comportato ingenti costi. Ma c’era una ragione, più o meno nascosta: gli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti, che sarebbero entrati nel conflitto mondiale, solo nel 1917, non avevano in grande simpatia, per usare un eufemismo, il Giappone: temevano la sua potenza in piena crescita. Una guerra tra le potenze della regione, non era totalmente esclusa: il Giappone, quindi, non voleva distrarre unità navali per un impegno così lontano.

Durante tutto il 1915, non ci furono più richieste britanniche per una assistenza navale giapponese nel Mediterraneo. All’inzio del 1916, i tedeschi cominiciaro ad attaccare sistematicamente il naviglio commerciale. I britannici tornarono quindi a chiedere l’aiuto dei giapponesi ai quali chiesero l’invio di cacciatorpediniere per proteggere le navi per il trasporto truppe, e quelle commerciali, dagli attacchi dei sottomarini tedeschi che si facevano sempre più frequenti. Successivamente, poichè la minaccia riguardava più l’Oceano Indiano che il Mediterraneo, la richiesta britannica cambiò in un’assistenza per pattugliare lo stretto della Malacca e il Mar di Giava dove il Giappone, approvando la richiesta britannica, in marzo, inviò due incrociatori e quattro cacciatorpediniere.

Dopo la battaglia dello Jutland, la Germania decise di adottare massicciamente i sottomarini e gli effetti non tardarono a farsi sentire. Nel Mediterraneo per gli Alleati le perdite di tonnellaggio mercantile, cominciava ad essere pesante. Basti pensare che gli Alleati, in tutta la guerra, e nel solo mar Mediterraneo, persero ben 3 milioni di tonnellate, ¼ della perdita totale in quel conflitto.
Era perciò prioritario l’arrivo di rinforzi, nell’area, che potessero svolgere funzioni di scorta ai convogli mercantili. Su richiesta dell’Ammiragliato britannico, Sir Grey chiese all’ambasciatore britannico in Giappone, Sir Conyngham Greene, di sondare, su questo punto, il governo di Tokyo; l’11 gennaio Greene incontrò il Ministro degli Esteri Motono Ichiro e, qualche giorno più tardi, il 15, l’ambasciatore fece visita al Ministro della Marina, l’Ammiraglio Kato Tomosaburo. La richiesta era la solita: l’invio di cacciatorpediniere nel Mediterraneo. Questa però, la risposta giapponese fu diversa.

La spedizione

Dall’ottobre del 1916, a Tokyo, c’era un nuovo governo, guidato dal Generale Terauchi Masatake. La maggior parte dei ministri era favorevole ad una più stretta collaborazione con le potenze dell’Intesa. Alcune obbiezioni persistevano all’interno della Marina, ma ormai la decisione sembrava presa. I favorevoli all’assistenza navale speravano che, in questo modo, e dopo la guerra, il Giappone potesse avere una maggiore voce in capitolo durante la Conferenza di Pace. Il 2 febbraio, il Ministro degli Esteri Motono, presentò la risposta del governo all’ambasciatore Greene: era una risposta affermativa, ma con delle condizioni.
La spedizione nipponica era composta da una nave ammiraglia, l’incrociatore Akashi e da due flottiglie di cacciatorpediniere. Il Secondo Squadrone Speciale fu messo alle dipendenze del Contrammiraglio Kozo Sato e come base operativa venne scelta Malta. La condizione prevedeva che lo squadrone non sarebbe stata alle dipendenze della flotta britannica, ma avrebbe agito in cooperazione, secondo le sue richieste. Inoltre fu messo in chiaro che la flotta nipponica non avrebbe esteso le attività oltre al mar Mediterraneo.

Il 10 febbraio arrivò la decisione ufficiale del governo giapponese. Il 18 febbraio 1917, l’11° flottiglia, composta da quattro cacciatorpediniere, lasciò il Giappone per congiungersi, a Singapore, con l’Akashi e i quattro cacciatorpediniere della 10° flottiglia. L’11 marzo, le 9 navi, formanti il Secondo Squadrone Speciale, lasciarono Singapore per il mar Mediterraneo. Il 16 aprile, dopo aver toccato Colombo, Aden e Port Said, la flotta nipponica arrivò a Malta, la sua base operativa. I cacciatorpediniere, appatenevano tutti alla classe “Kaba” (650 tonn.).
A fine aprile, poichè proseguivano, incessantemente, le perdite a causa dei sottomarini tedeschi e austriaci, i britannici fecero pervenire a Tokyo una richiesta di altri 12 cacciatorpediniere. Perfino il Re d’Inghilterra, Giorgio V, fece pressioni sull’ambasciatore giapponese a Londra, Inoue Katunosuke affinchè il governo giapponese decidesse l’invio dei rinforzi richiesti. Il rinforzo arrivò, con decisione gevernativa del 23 maggio, ma venivano concessi solo 4 cacciatorpediniere invece delle 12 navi richieste dalla Gran Bretagna. Il 25 giugno, la 15° flottiglia, composta da quattro nuovi cacciatorpediniere della classe “Momo” (850 tonn.), partì dal Giappone per arrivare a Malta nell’agosto del 1917; con loro anche l’incrociatore Izumo che sostituì la Akashi.
L’intera flotta nipponica, agli ordini del Contrammiraglio Sato, venne impiegata, fino alla fine della guerra, in compiti di scorta delle navi alleate.
Ci furono altre richieste di rinforzi, anche da parte degli italiani e dei francesi, ma vennero tutte respinte.

I risultati

Kozo SatoI britannici furono molto soddisfatti dell’apporto della marina giapponese e anche dopo la guerra, fu riconosciuto che il contributo dei cacciatorpediniere giapponesi fu decisivo nella lotta contro i sommergibili tedeschi e austriaci. Uno dei maggiori estimatori del contributo giapponese, fu Winston Churchill, Primo Lord dell’Ammiragliano e poi Ministro delle Munizioni, che, nei primi anni di guerra, si era prodigato per una collaborazione Anglo-Giapponese.

Nel Mediterraneo, dalla parte delle forze dell’Intesa, oltre a Gran Bretagna e Giappone, c’erano navi italiane, francesi e greche. Per quanto riguarda la marina greca, il suo contributo alla guerra fu trascurabile. Delle marine italiane e francesi, i britannici ebbero un giudizio molto negativo: le navi italiane erano ritenute inefficienti e i francesi non erano considerati capaci di condurre una campagna navale. L’unico valido alleato, quindi, erano le navi giapponesi.
La marina del Sol Levante, pur essendo indipendente, collaborò a stretto contatto con quella britannica e la collaborazione fu ricca di frutti anche perchè gli ufficiali giapponesi non crearono nessuno tipo di difficoltà. I giapponesi, inoltre, erano lodati per la loro dedizione alla causa dell’Intesa; Il Contrammiraglio George Ballard, rappresentante della marina britannica a Malta, fece notare, nei suoi dispacci all’Ammragliato, che le navi giapponesi trascorrevano in mare, in proporzione, più tempo in mare, dei britannci ed erano sempre efficienti; gli ufficiali nipponici sapevano cavarsela da soli per le beghe burocratiche: cosa che non si poteva dire per italiani e francesi. La Gran Bretagna fu così soddisfatta dell’operato dei giapponesi, che diede loro due suoi cacciatorpedinere, per la durata della guerra, che furono rinominati ed equipaggiati con marinai nipponici.
Come vedremo, ci furono anche giudizi negativi, derivanti dai mai morti pregiudizi razziali e dai ripetuti rifiuti alle richieste, giunte da Londra, di assistenza navale in acque europee.

Ma quale fu il contributo operativo della flotta giapponese ?
Come abbiamo visto, il suo compito era quello di scorta e protezione contro gli attacchi dei sottomarini tedeschi ed austriaci. I cacciatorpediniere scortarono, soprattutto, navi per il trasporto truppe. I porti coinvolti erano Alessandria, Marsiglia, Taranto, Salonicco.
Durante tutta la guerra le navi nipponiche effettuarono 348 scorte per un numero complessivo di 788 navi che trasportarono circa 70.000 soldati. Recuperarono ben 7075 soldati in difficoltà dopo che la loro nave era stata colpita dal nemico. Ben 72% fu il tempo che le navi giapponesi trascorsero in mare (i britannici erano al 60 % e Francia ed Italia ad appena il 45 %).
In 36 scontri con i sottomarini austro-tedeschi, furono solo due le cacciatorpediniere nipponiche che subirono danni. Il più grave fu il colpo che, nel giugno del 1917, ricevette la Sasaki da parte del sottomarino U-27 della marina austriaca: provocò la morte di 69 giapponesi.
Nel 2011, al largo delle coste liguri, venne ritrovato il relitto della nave britannica SS Transylvania, una nave da crociera che, con lo scoppio della guerra, venne convertita per scopi bellici. Il 4 maggio 1917, sotto la scorta di due cacciatorpedinere giapponesi, la Sakaki e la Matsu, doveva trasportare più di 3.000 persone, tra soldati, ufficiali e personale della Croce Rossa, da Marsiglia al porto egiziano di Alessandria. Al largo delle coste liguri, alle 10 di mattina, venne inquadrato dal sottomarino tedesco U-63. Furono due i siluri che colpirono la nave, facendola colare a picco: i morti furono 412; più di 2000 uomini vennero salvati dalle navi giapponesi che uscirono indenni dallo scontro. Questo fu l’evento più drammatico in cui vennero coinvolte navi giapponesi durante il periodo di servizio.
La flotta nipponica, tornò in Patria nel maggio del 1919. Il suo bottino di guerra fu di sette sottomarini tedeschi affondati.

Pregiudizi e critiche

Dal 1914 agli inizi del 1917, nonostante le molte richieste provenienti dalla Gran Bretagna, il Giappone rifiutò sempre di portare assistenza in acque europee, come richiesto. Vennero accampate varie scuse per giustificare i rifiuti: la necessità di difendere le acque nazionali, i costi eccessivi, la mancanza di mezzi disponibili. Queste continue risposte negative, a lungo andare, crearono malcontento tra gli alleati: si arrivò addirittura a pensare che il Giappone, in realtà, volesse preservare la sua flotta per poi usarla, dopo la guerra, contro quella britannica, stanca e provata da anni di guerra incessante. Non in tutti gli ambienti, naturalmente, ma nei dispacci che si scambiavano i britannici, traspariva questa insofferenza: si incolpava il Giappone di egoismo e di menefreghismo nei confronti degli alleati duramente impegnati in Europa.

Nel 1917, però qualcosa, in Giappone, cambiò. Il nuovo governo, del Generale Terauchi Masatake, entrato in carica il 9 ottobre 1916, era più favorevole ad una collaborazione con la Gran Bretagna; ma ci furono anche dei motivi di convenienza. Alla vigilia della partenza del convoglio verso l’Europa, il Contrammiraglio Sato venne ricevuto dal Primo Ministro Terauchi il quale gli parlò della necessità giapponese di aiutare gli Alleati in una guerra per “la salvezza della Civiltà e dell’Umanità”. Naturalmente questa era solo la spiegazione ufficiale.
All’inizio del 1917 le sorti della guerra erano ancora in bilico e il Giappone non avrebbe avuto niente da guadagnare se fosse rimasta a guardare gli eventi: se l’Intesa avesse vinto, le avrebbero rinfacciato il suo scarso impegno e difficilmente avrebbe visto confermate, dalla comunità internazionale, le concquiste effettuate durante la guerra. L’unica possibiltà era quella di accettare la richiesta britannica di assistenza e contribuire attivamente alla vittoria sugli Imperi Centrali; accentando l’invio delle navi, il Giappone, come la Gran Bretagna aveva già promesso, avrebbe avuto voce in capitolo nella Conferenza di Pace che, dopo la guerra, avrebbe ridisignato l’ordine mondiale; il Giappone si sarebbe potuta sedere, con pieno merito, fra le potenze vincitrici.

Come abbiamo visto, le navi giapponesi, fatte le debite proporzioni, si comportarono meglio anche di quelle britanniche e questo provocò un certo fastidio tra i britannici. Sia a causa dell’orgoglio nazionale e sia per il pregiudizio razziale che ancora esisteva nei confronti dei popoli non occidentali, l’apporto giapponese fu spesso tenuto nascosto o minimizzato. Il Capitano Murry Pipon, dello staff britannico a Malta, pur lodando i giapponesi, li considerava inferiori ai britannici quando bisognava affrontare una situazione innaspettata. L’Ammraglio Sir John R. Jellicoe espresse giudizi simili, mettendo in dubbio la capacità nipponica in uno scontro con le navi tedesche.
Insomma, era dura ammettere la superiorità della marina giapponese. Solo dopo la fine della guerra, con i primi studi storici sul conflitto, arrivarono i giusti riconoscimenti al fondamentale contributo giapponese nella guerra nel Mediterraneo.

Il Giappone cercò di combattere questo pregiudizio razziale che ancora albergava in Occidente. Durante e dopo la guerra i cacciatorpediniere del Secondo Squadrone Speciale visitarono ben 53 porti (in Italia, Francia, Grecia, Gran Bretagna e Belgio) e marinai nipponici parteciparono ai festeggiamenti per la Vittoria a Londra e a Parigi. Lo scopo era quello di pubblicizzare la presenza nipponica fra le potenze vincitrici e rivendicare il merito per aver contribuito alla sconfitta degli Imperi Centrali.
Durante la Conferenza di Pace a Parigi (1919-1920), il Giappone propose un emendamento per abolire qualsiasi discriminazione razziale. L’emendamento venne respinto per l’opposizione dell’Australia (dominio britannico). Questo fatto, fra le altre cause, contribuì al crescente rancore giapponese nei confronti delle potenze occidentali che sarebbe poi sfociato nell’alleanza con la Germania nazista e nella Guerra del Pacifico.

Autore : Cristiano Suriani

Fonti :

A Naval History of World War I di Paul G. Halpern
HubPages.com – World War I History: Japanese Navy in the Mediterranean

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